Stamattina mio figlio, il piccolo Edoardo, di 8 anni, mentre era impegnato nella lettura di un libro, ha improvvisamente chiuso gli occhi, i suoi occhi curiosi.
Guardandolo gli ho chiesto a cosa stesse pensando e lui teneramente mi ha risposto: “Sto pensando dove potrei essere adesso, proprio ora, mentre leggo questo libro”. La sua risposta in questo momento di “reclusione” mi ha ricordato che i bambini più degli adulti sicuramente agognano quella normalità di cui, da un giorno all’altro, siamo stati privati, per via di un nemico invisibile, senza alcuna possibilità di scelta, perché l’unica scelta, quella che docenti, genitori ed educatori in generale, abbiamo è quella di far accettare, senza creare turbamenti, ansie e traumi psicologici, la responsabilità #dell’essere distanti oggi per essere più vicini domani
Allora ho incalzato chiedendo ad Edoardo: “E dove vorresti essere?”
La sua risposta è stata di una celerità spiazzante: “Vorrei essere su un prato, immerso nei fiori della primavera che esplode, a prendere il sole, ad osservare le nuvole che si muovono, ad ascoltare gli uccelli che cinguettano, a fare uno di quei picnic che durante le vacanze pasquali facevamo tutti insieme”.
Allora dinnanzi agli occhi lucidi di mio figlio, da mamma, da Medico Specialista in Fisiatria, da appassionata d’arte e da promotrice dell’Art therapy, mi sono chiesta se e quale opera d’arte potesse venirmi in aiuto. Scavando tra i meandri dei miei ricordi e cercando di trovare una soluzione che potesse concretizzare in parte questo desiderio utopico, mi è venuto in mente uno dei miei artisti preferiti, l’impressionista Claude Monet. Ho allora mostrato a mio figlio due stampe del noto pittore delle Ninfee: “La passeggiata” e “Picnic sull’erba”. Abbiamo entrambi sbottato a ridere. Avevamo tra le mani l’oscuro oggetto del desiderio di tutti gli italiani e forse anche dei francesi, degli spagnoli, degli americani, degli inglesi, dei tedeschi, e chi più ne ha più ne metta. Il risultato non è stato solo quello di una fragorosa risata.
Mio figlio si è messo ad osservare le stampe e poi a espresso la volontà di poterle riprodurre: un foglio, una matita, dei colori, ed il gioco ha avuto inizio, anzi seguito.
Finiti i disegni mi ha esternato la sua gioia nell’essere riuscito a sentire il canto delle cicale, il suono del vento, il profumo dell’erba e ad avvertire la sensazione di essere lì, perché questo riesce a fare la pittura impressionista, questo riesce a fare l’arte.
In questo momento, tanto difficile sul piano psicologico e sociale, forse anche la DAD (didattica a distanza) potrebbe venirci in aiuto, incoraggiando la realizzazione di lavori artistici, magari solo un disegno, per esprimere e comunicare quelle emozioni, fantasie e pensieri che oggi più di ieri abbiamo difficoltà a condividere. Lungi da me la richiesta di promuovere un progetto di arteterapia, anche se l’idea non mi dispiacerebbe, avendo questi progetti trovato significative e positive applicazioni dagli asili nido, agli “Alzheimer Cafè”, dalle scuole di diverso grado ai centri diurni, dagli atelier in comunità migranti al carcere, dagli ospedali agli hospice.
Un bambino è riuscito, in un momento fortemente emergenziale, a ricordarmi l’efficacia del linguaggio artistico: l’arte ha sempre qualcosa da offrire, a tutti, e lo fa senza giudizio e senza discriminazioni.
L’arte è scientificamente riuscita a trasformarsi in arteterapia, perché tra i suoi innumerevoli vantaggi ha anche quello di essere “liberazione”, e ai tempi del coronavirus ci scuote e ci ricorda che #andrà tutto bene.
Lucia Pagano