All’onorevole Nicola Fratoianni, deputato di Liberi e Uguali e componente della Commissione Cultura della Camera, abbiamo posto qualche domanda sulla attuale situazione della scuola italiana e sulle misure che sarebbe necessario prendere per farla ripartire in modo sicuro e funzionale
On. Fratoianni, il Governo ha stanziato solo un miliardo e quattrocento milioni di euro in due anni poi un altro miliardo e recentemente altri 300 milioni di euro per una ripresa della scuola in sicurezza, lei ritiene che queste risorse siano sufficienti?
Per la ripresa della scuola in presenza e in sicurezza alle risorse già stanziate dal Governo si aggiungeranno quelle, speriamo più consistenti del miliardo già annunciato, del nuovo scostamento di bilancio ed inoltre sono state recuperate altre risorse come quelle dei PON per gli interventi di edilizia leggere degli enti locali e quelle messe a disposizione dal Dipartimento della Protezione Civile per test sierologici, nuovi arredi, gel e mascherine.
Tali risorse, comunque consistenti e del tutto inedite per la scuola italiana che negli ultimi decenni ha avuto solo tagli di spesa da tutti i Governi che si sono succeduti, sono ancora insufficienti soprattutto alla luce delle richieste di organici aggiuntivi che stanno pervenendo dalle scuole.
Occorre però precisare che le risorse stanziate sono destinate agli interventi emergenziali necessari per garantire la riapertura e quindi parliamo di fondi da spendere entro l’inizio delle lezioni, per cui il Governo si sta facendo carico anche di velocizzare la distribuzione dei fondi agli enti locali e alle scuole e dello snellimento delle procedure per effettuare lavori di edilizia leggera e acquisti di forniture e servizi.
Non sarebbe il caso di cogliere l’occasione per interventi non emergenziali, come intende fare il Governo, ma strutturali per la scuola che dovrebbero riguardare l’edilizia, l’abbattimento delle “classi pollaio” e organici adeguati?
Per uscire dall’emergenza, che nella scuola italiana a mio avviso c’era già prima di questa terribile pandemia, occorre recuperare i decenni di tagli alla scuola pubblica e investire risorse adeguate su di un piano di interventi strutturali e pluriennali.
Per questo già prima del risultato positivo ottenuto dal Presidente Conte in Europa avevamo lanciato una campagna per richiedere che almeno il 15% dei Recovery Fund fosse destinato al sistema pubblico di istruzione e formazione.
La centralità della scuola per il rilancio del sistema Paese è per noi strategica e decisiva e passa per poche, ma sostanziali priorità:
- Edilizia scolastica
Dobbiamo cogliere l’occasione per ammodernare, digitalizzare e rendere sicuri tutti gli edifici scolastici pubblici, in modo da poter poi programmare con costanza e periodicità interventi di manutenzione e nuove costruzioni come avviene nella gran parte d’Europa. Uscire definitivamente dall’emergenza della messa in sicurezza degli edifici scolastici si può e si deve fare.
- Personale scolastico
Occorre programmare interventi pluriennali di formazione continua del personale docente e non docente e prevedere un piano di assunzioni pluriennale che implementi i 77.000 posti già messi a concorso e che sia in grado di far uscire definitivamente la scuola italiana dalla perenne “supplentite” in cui è costretta dalla riforma Gelmini.
Il personale precario e gli aspiranti insegnanti hanno bisogno di regole d’ingaggio chiare, certe e di lungo respiro.
- Riduzione numero alunni per classe e revisione norme sul ridimensionamento
La numerosità degli studenti per classe ha un impatto molto negativo sulla capacità di apprendimento delle studentesse e degli studenti e sulla qualità della didattica. Prevedere un intervento strutturale che limiti il numero a massimo 15 studenti per classe è dunque un aspetto decisivo. Significa poter davvero operare la personalizzazione della didattica, ridurre il tasso di dispersione scolastica e migliorare il livello di competenze, conoscenze e abilità degli studenti.
Altra sfida decisiva è quella di mettere in condizioni le scuole del territorio di operare con efficienza e per questo abbiamo bisogno di rivedere le norme del ridimensionamento per dotare le scuole dei Dirigenti e del personale amministrativo necessario, limitando le reggenze e garantendo il servizio scolastico anche nelle aree interne e periferiche del Paese.
- Dispersione scolastica e povertà educativa
Ultima, ma decisiva sfida è quella di contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa con un piano nazionale triennale in grado di dispiegare un impatto sul tutto il territorio nazionale e in particolare a partire dal Sud Italia. Abbiamo bisogno di implementare il tempo pieno, di avere scuole aperte al territorio, di personalizzare gli apprendimenti e offrire a tutti gli studenti occasioni di inclusione e di riscatto sociale.
Perché prevedere solo 50.000 supplenze peraltro temporanee in più, in pratica solo 4 docenti e 1 bidello per scuola invece di riparametrare un organico di fatto tale da poter costituire classi con 15 alunni, da confermare il prossimo anno in organico di diritto?
Le procedure, le modalità di distribuzione sul territorio nazionale e la consistenza dell’organico aggiuntivo per la ripartenza è in corso di determinazione e terrà conto delle risorse aggiuntive che saranno stanziate con il prossimo scostamento di bilancio e delle richieste avanzate dagli Uffici Scolastici Regionali sulla base della ricognizione fatta con le scuole. Per cui ritengo che il numero di 50.000 previsto ha buone possibilità di essere almeno raddoppiato.
Personalmente avrei preferito intervenire con una norma organica che potesse prevedere già da quest’anno un’inversione di tendenza sulla riduzione delle cosiddette “classi pollaio”.
Infatti, ho proposto con un mio emendamento al Decreto Rilancio la formazione di tutte le prime classi di ogni ciclo con un massimo di 15 alunni, questo ci avrebbe consentito di iniziare già a settembre a praticare uno degli obiettivi prioritari per il rilancio della scuola italiana: la riduzione del numero di alunni per classe. Purtroppo l’emendamento, pur avendo avuto il parere positivo del MI è stato poi rigettato dal MEF per mancanza di copertura economica, ma sono ottimista sulla possibilità di recuperare questa mia proposta con i fondi messi a disposizione dall’Europa.
Le scuole partiranno ancora una volta grazie al precariato, le 80.000 immissioni in ruolo chieste dalla Ministra Azzolina al Mef, se autorizzate, resteranno solo purtroppo solo sulla carta perché sarà difficile che gli insegnanti precari con un’età media di 35/40 anni si trasferiscano dalla Puglia, Sicilia, Calabria, Campania al Nord. Ora la 126/2019 ha imposto regole draconiane, bloccando la mobilità tout court per 5 anni e destinando al fallimento la call veloce e l’accodamento degli idonei dei concorsi del 2016, crede che tale norma possa essere rivista?
Ritengo il blocco quinquennale iniquo e sbagliato, soprattutto se si considera che impatta in maniera decisiva e sostanziale soprattutto sui progetti di vita delle donne del sud Italia.
È una norma che va cancellata e reinserita nella contrattazione sindacale sulla mobilità come è giusto che sia, tanto che ho più volte presentato emendamenti per la sua abolizione e continuerò a farlo. Ciò è ancora più urgente se si considera l’impatto negativo che il “blocco” ha avuto sulle domande per l’immissione in ruolo da call veloce.
Sono stati destinati ben 300 milioni di euro alle scuole paritarie a titolo di risarcimento per mancato pagamento delle rette, qual è il suo giudizio?
La nostra posizione su questo aspetto è sempre stata chiara e definita: rispettiamo la libertà di scelta, ma senza oneri per lo Stato. Seppur siamo consapevoli del deficit dei servizi educativi pubblici sul territorio per la prima infanzia, che però andrebbe superato con un forte investimento pubblico e con una reale e vera integrazione del sistema 0/6 anni, e delle difficoltà in cui versano molte scuole private in questa fase di emergenza, in parte compensate dalle norme già previste per tutte le imprese del Paese, restiamo comunque fortemente contrari a qualsiasi impiego di fondi pubblici sia diretto che indiretto sulle scuole paritarie.
I sindacati lamentano il solipsismo di questa Ministra che si serve di un commissario ma evita il confronto con loro, Zingaretti auspica un tavolo interministeriale con le parti sociali, qual è la sua posizione e quella del suo partito?
Noi abbiamo sempre considerato il rapporto con le parti sociali importante e decisivo per lo sviluppo del Paese e lo diventa ancor di più in questa fase di emergenza e rilancio. Le scelte che il Governo andrà a compiere nei prossimi mesi devono avere la massima condivisione possibile e devono essere frutto di una elaborazione collettiva e collaborativa. Questo vale per tutto il Governo e a maggior ragione deve valere per la scuola, un settore che coinvolge milioni di studentesse e studenti, lavoratrici e lavoratori e loro famiglie.
Le scelte che il Ministero dell’Istruzione andrà a compiere per il futuro della scuola riguardano tutti e quindi non possono che essere frutto di una elaborazione e condivisione che vada oltre le mura di viale Trastevere.
Per questo proponiamo la costituzione di una cabina di regia nazionale con un tavolo permanente con le parti sociali che non si limiti alla definizione delle misure del protocollo sanitario per la ripartenza, ma che discuta di tutti gli aspetti riguardanti la riapertura della scuola e i futuri investimenti.
È soddisfatto di come sono stati trattati dall’attuale Governo i precari storici della scuola, docenti, Ata e DSGA facenti funzione che ha visto i sindacati impegnati in una lunga vertenza da cui sono usciti sconfitti?
È cosa risaputa che sui precari abbiamo una posizione molto più vicina alle proposte dei sindacati che a quelle della Ministra. È stato infatti terreno di forte e aspra discussione in seno alla maggioranza in occasione di conversione del recente Decreto Scuola.
Per noi la valorizzazione dell’esperienza lavorativa nella scuola deve essere un fattore importante e rilevante per determinare il reclutamento del personale scolastico e riteniamo che siano praticabili soluzioni più orientate in tal senso e ugualmente compatibili con i dettami costituzionali di quelle determinatesi negli ultimi concorsi banditi.
Sicuramente c’è un problema strutturale sulle forme di reclutamento del personale scolastico che ha contribuito negli anni a generare incertezza e precarietà, creare disparità di trattamento con l’affastellarsi di soluzioni tampone e sporadiche, stratificare graduatorie, implementare a livello esponenziale il ricorso alle vie giudiziarie per vedersi riconosciuti dei diritti.
C’è dunque bisogno di fare chiarezza e rideterminare un sistema certo di reclutamento e abilitazione alle professioni del mondo della scuola. Il tavolo con i sindacati per i percorsi di abilitazione entrato con un nostro emendamento in Senato nel Decreto Scuola potrebbe essere la giusta occasione per compiere un primo piccolo passo in avanti verso il riconoscimento dell’esperienza lavorativa e l’uscita dalla precarietà di migliaia di lavoratrici e lavoratori italiani.