Domenica scorsa il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo in prima pagina, un taglio alto in bella evidenza, dal titolo “Cambiamo così la nostra scuola”.
L’autore, Francesco Giavazzi, è professore ordinario di Economia Politica alla Bocconi ed editorialista del prestigioso quotidiano milanese. Nel suo articolo, il prof. Giavazzi affronta molti argomenti, che avrebbero bisogno di spazi ben più ampi delle tre colonne che invece vengono loro dedicate: la dispersione scolastica, i deludenti risultati degli studenti italiani nei test comparativi internazionali, gli stipendi dei docenti, il tempo di apertura degli istituti scolastici, le vacanze estive, il senso dell’insegnamento dell’educazione civica.
Insomma, temi delicati e complessi che non possono essere liquidati così, in poche righe. Anche perché, così facendo, si rischia di incorrere in qualche errore.
I docenti italiani non guadagnano poi così poco?
Prendiamo, ad esempio, la questione degli stipendi dei docenti italiani. Giavazzi afferma che le retribuzioni dei docenti italiani “sono sì basse, ma se le consideriamo in un contesto più ampio vediamo che in Francia gli insegnanti sono pagati un po’ di più ma non molto di più”.
E questo è il primo errore: è vero che il primo stipendio di un professore francese neo-immesso in ruolo si aggira sui 1200 euro netti, ma è ugualmente vero che già a metà carriera questa cifra raddoppia, raggiungendo i 2200 euro. Non solo, ma il nostro professore d’oltralpe se ne va in pensione con uno stipendio di circa 3200 euro mensili netti. Se con queste cifre si può affermare che i docenti francesi, rispetto ai loro omologhi italiani “sono pagati un po’ di più ma non molto di più” …
Per non parlare del fatto che il sistema prevede una possibilità di carriera per i docenti che possono, su concorso, passare dalla categoria di “certifiés” (di cui abbiamo appena citato gli stipendi) a quella di “agrégés”, i cui stipendi schizzano in alto avvicinandosi di molto alle retribuzioni dei docenti universitari.
Il “tormentone” estivo dei tre mesi di vacanze per i prof
E passiamo all’altro tema caldo delle vacanze esagerate dei professori italiani, i famosi “tre mesi” di vacanze che periodicamente scatenano le ire della collettività nazionale e che il prof. Giavazzi, nel suo articolo, rimette al centro dell’attenzione, affermando che “le vacanze estive devono essere molto più brevi, un mese, sei settimane al massimo”.
Bene, prendiamo per buone le “sei settimane al massimo”: ciò significherebbe che le lezioni dovrebbero terminare intorno alla terza settimana di luglio, in modo da avere come vacanze l’ultima di luglio, le quattro di agosto e la prima di settembre, che fanno sei. A meno che non si vogliano iniziare le lezioni direttamente al primo settembre, e allora in questo caso si potrebbero concludere a metà luglio. E gli esami di Stato quando li svolgiamo? A Ferragosto?
Vogliamo fare il gioco della comparazione con la Francia anche nell’ambito vacanze? Ebbene, il sistema francese prevede un ritmo scolastico basato su sette settimane di studio e due di vacanze: sì sì, avete capito bene, i professori e gli alunni francesi di ogni ordine e grado si fermano due settimane tra fine ottobre e inizio novembre (vacanze di Tutti i Santi), due settimane a Natale, due settimane tra febbraio e marzo (vacanze d’inverno), due settimane intorno a Pasqua (vacanze di primavera). Fanno otto settimane durante l’anno – in Italia sono due a Natale e una, scarsa, a Pasqua – seguite dalle vacanze estive (le “grandes vacances”) che iniziano tra il 5 e il 6 luglio e si concludono il primo settembre.
Potremmo continuare a lungo, sollevando molte altre obiezioni , ma ci fermiamo qui perché, come detto in apertura, l’articolo del prof. Giavazzi affronta talmente tanti temi che sarebbe impossibile analizzarli tutti in questa sede.
Invitiamo i nostri lettori, che di scuola ne capiscono, a leggerlo e, se lo vorranno, il dibattito potrà continuare qui sulle nostre pagine.