Le recenti polemiche e le discussioni che ne sono seguite a proposito delle frasi “razziste” scoperte in alcuni libri di testo per la scuola primaria lasciano riflettere e ci fanno interrogare sulla reale portata di quanto emerso nelle ultime settimane.
Come è noto, infatti sia in un manuale per la seconda classe della primaria, dove una vignetta rappresenta un bambino con la pelle scura pronunciare una frase in italiano sgrammaticato, sia l’altra frase incriminata, in un racconto, questa volta per la prima, “sei sporca o sei tutta nera?” hanno creato una bufera mediatica, con riscontri anche in campo politico.
Per capire meglio come stanno le cose ascoltiamo la voce della professoressa Concetta Mascali, già dirigente scolastica all’Istituto Comprensivo “Regio Parco” di Torino, una delle scuole calde della città dal punto di vista interculturale, da anni impegnata nella promozione di numerose iniziative per favorire l’integrazione e l’inclusione degli alunni provenienti da contesti migratori.
Professoressa Mascali, che tipo di impatto possono avere sui piccoli apprendenti frasi come quelle incriminate, di recente scoperte in alcuni libri di testo?
Ritengo che interrogarsi su quelle frasi sia educativo soprattutto per gli adulti che si portano dentro, spesso inconsapevolmente, retaggi culturali e pregiudizi antichi. Forse sui bambini non avrebbero un forte impatto, anche perché si tratta di brevi frasi inserite in un contesto narrativo più ampio, che richiama valori di integrazione e di comprensione. Gli atteggiamenti poco civili, l’intolleranza e il razzismo dipendono soprattutto dai contesti educativi in cui i bambini crescono. Ciò non toglie che sia necessario non ignorare la portata di quelle affermazioni. Nella mia esperienza, prima all’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte, dove mi sono occupata già dal 2007 di intercultura, e poi da dirigente di una scuola ad alta frequentazione migratoria, più volte ho constatato che le intolleranze e le varie forme di razzismo spesso nascono dalla mancanza di risorse e strumenti. Il racconto della scrittrice Lucia Tumiati è stato pubblicato a metà degli anni ’90, e forse risente di un altro tipo di sensibilità per queste tematiche; racconta in modo leggero l’incontro tra due bambini diversi, non suggerisce emarginazione, né razzismo. Le polemiche di questi giorni, limitandosi a citare una piccola frase, hanno inasprito il giudizio, dimenticando il contesto e dimenticando che la stessa scrittrice ha lottato contro ogni forma di ingiustizia e prevaricazione (ebrea e vittima in prima persona delle persecuzioni razziali del secolo scorso, staffetta partigiana, ha sempre dimostrato un forte impegno sociale). D’altro canto, approvo che il Gruppo editoriale Raffaello, per quanto riguarda la vignetta, abbia chiesto scusa, segno della consapevolezza della propria (e della nostra) “ingenuità” rispetto a questi episodi.
Quale reazione e quali provvedimenti avrebbe preso in considerazione da dirigente, nel caso si fosse trovata davanti a tali segnalazioni?
L’esperienza di dirigente presso scuole fortemente multiculturali, mi ha insegnato che prima di tutto bisogna essere attenti, pronti a ricercare occasioni di confronto e di incontro con la diversità, disponibili a mettersi in gioco. Gli adulti, docenti e famiglie, hanno il diritto e il dovere di segnalare eventuali problemi di tipo interculturale, ma solo lavorando insieme possono dare il proprio contributo alla creazione di contesti tolleranti e accoglienti, evitando di scatenare polemiche che spesso creano un clima sfavorevole alla comprensione e conoscenza dell’altro.
Come si fa a dotarsi di strumenti e a non cadere nelle trappole mediatiche?
Ci vuole molta attenzione e la consapevolezza che il pregiudizio può operare dentro di noi a nostra insaputa, anche quando si crede di essere già attrezzati e preparati. La nostra è una società immatura, che cresce lentamente, che considera sempre stranieri i migranti, anche se hanno la cittadinanza italiana, non siamo abituati a fare qualcosa “con” loro, semmai “per” loro. Ma talvolta si eccede anche in senso inverso, come si può intuire da questo aneddoto: avevano mandato in presidenza due bambini, uno di famiglia migrante, l’altro italiano, che avevano violentemente litigato. Il bambino di colore racconta che il compagno italiano lo aveva insultato dicendogli “Tornatene al tuo paese!”. Mi preoccupo, pensando che possa trattarsi di una frase con retroscena razzista. Interrogato, il bambino italiano si difende dicendo che però era stato prima il compagno ad offenderlo, perché gli aveva detto “tornatene in Puglia!”. Non era certo un episodio di razzismo! Sono certa che i nostri bambini sapranno costruire una società migliore, proprio perché i loro compagni di banco erano di tutti i colori. Altra cosa è quella di tenere sempre alta la guardia, discutere e interrogarsi, come ha fatto Marwa Mahmoud, la cui voce richiama tutti noi ad avere maggiore coscienza e conoscenza della storia.