Ma appena sufficiente sarebbe la qualità dell’insegnamento che però se riferito alle lingue straniere, e in modo particolare alla conoscenza da parte dei docenti non di lingua, il voto scende anche perchè ciò influirebbe nelle collaborazioni con scuole estere. Per quanto riguarda infatti l’internazionalizzazione la scuola è quasi assente, tanto che sono sempre più numerosi i ragazzi che a titolo personale partecipano a programmi di mobilità individuale che prevedono da un trimestre a un intero anno scolastico all’estero. Nel 2011 la stima Ipsos del fenomeno era di 4.700 studenti, con una crescita del 34% rispetto al 2009.
Strutturalmente la scuola non è in grado di rispondere a livello quantitativo alla voglia di aprirsi al mondo: se, infatti, il 53% degli studenti afferma che la propria scuola ha organizzato almeno un’attività internazionale, a prenderne parte è meno del 40% di loro. Tra le attività organizzate più di frequente ci sono gli stage di studio all’estero (28%), i progetti di collaborazione con le altre scuole (26%), gli scambi di classe (25%). I motivi principali della mancata partecipazione degli studenti: il coinvolgimento di un numero limitato di classi (quasi il 50% delle citazioni) la scarsa disponibilità degli insegnanti (25%), la mancanza di motivazione del ragazzo (15%), l’alto costo (circa il 5%).
Per rendere più internazionale la scuola, gli studenti mettono ai primi due posti l’opportunità di trascorrere un periodo all’estero (48%) e il sostegno da parte dei docenti (33%) che sarebbe il ruolo primario sia per fornire le informazioni (lo pensa il 77% degli intervistati), sia nell’incoraggiamento. Questa funzione la farebbe solo la metà dei loro professori (54% degli insegnanti di lingua e 45% di quelli delle altre materie) e il 10% li dissuade, addirittura.
Secondo l’indagine Ipsos, riferisce l’agenzia Dire, spesso anche i giovani sono dei conservatore e tradizionalista (i conservatori e i demotivati) rispetto ai più intraprendenti (determinati e globetrotter): 27% contro 25%. Nel mezzo stanno gli indecisi (i basici e gli individualisti, 22% e 26%). In ogni caso la gioventù del 2012 sembra preferire rintanarsi nelle certezze costruite dai genitori.
La lingua straniera è invece per loro una semplice materia, più che un mezzo di dialogo, mentre i valori più importanti sono: famiglia (65%) e amicizia (58%). L’impegno a scuola servirà a ben poco per costruirsi un futuro lavorativo, visto che in Italia il lavoro si trova solo per conoscenze (lo pensa un ragazzo su tre).
Dalla ricerca emerge che, tra i ragazzi, sono molto di più i “tradizionalisti”, cioè quelli più legati al loro territorio, alla sicurezza della propria schiera di amici, rispetto agli “intraprendenti” , cioè , appunto, gli studenti che si dicono pronti a partire, a conoscere persone di altre culture, a leggere, ascoltare, vedere libri, film, canzoni in una lingua diversa rispetto all’italiano, che sono solo il 25% del totale.
E’ la generazione del “vorrei ma non me la sento”: desiderano una scuola internazionale, ma solo il 2% afferma di aver studiato/star studiando all’estero e se partono preferiscono la cara e vecchia Inghilterra invece che azzardarsi a solcare l’oceano e arrivare in Asia o in America Latina, amano i viaggi, ma solo il 36% si dice disposto a vivere all’estero per trovare lavoro.
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