«Continuerò a battermi per tenere aperte le scuole» afferma oggi (11 novembre 2020) la Ministra in una intervista a Radio Anch’io, aggiungendo che la chiusura delle scuole sarebbe «un disastro educativo, sociologico, formativo, psicologico». Difficile immaginare che la stessa persona, solo pochi mesi fa, potesse presentare la didattica a distanza come «una sperimentazione del presente che potrà lasciarci un patrimonio di esperienze importante per il futuro» (6 marzo 2020) e come «un grande successo» (2 maggio 2020).
I toni patetici abitualmente usati dalla Ministra («potrò sentirmi sollevata soltanto quando tutti i miei studenti potranno tornare in classe», «Corriere della sera», 5 novembre 2020) non sono certo utili ad aprire la strada ad una riflessione pacata.
Ma non solo è mancata una riflessione, così come è mancato un vero dibattito: è mancata persino una presa di coscienza della realtà dei fatti.
Quando si esalta la funzione irrinunciabile della didattica in presenza in quanto «garantisce formazione, ma anche socialità» (Lucia Azzolina su Facebook, 13 ottobre 2020), si dice qualcosa di condivisibile solo se si ragiona in astratto, pensando ad una scuola ideale e soprattutto alla scuola pre-Covid.
La scuola dell’epoca Covid, però, è purtroppo un’altra cosa.
Non ho la pretesa di fornire un quadro generale: mi limito a riferire la mia personalissima esperienza di insegnante di scuola superiore.
Dal settembre 2020 la struttura scolastica è rimasta sostanzialmente invariata, con gli alunni accalcati nelle stesse aule: ma la vita scolastica è diventata molto più complicata.
Le mascherine impediscono di vedere il volto di chi abbiamo di fronte; i ragazzi sono costretti al banco e a comportamenti innaturali: non hanno un compagno di banco, non possono scambiarsi materiali, fare lavoro di gruppo, darsi una pacca sulla spalla o, men che meno, abbracciarsi; non possono entrare in contatto con studenti di altre classi; non possono alzarsi dal banco se non in misura molto limitata; sono obbligati a pulirsi continuamente le mani anche per i gesti più banali.
A questo si è aggiunto, con il passare dei giorni, un quotidiano «bollettino di guerra», sempre più allarmante: ogni volta che entravo in una classe, venivo informata che X era in quarantena, che il padre/la madre/il fratello di Y era positivo, che Z era stato in tutta fretta ritirato da scuola dal genitore perché raffreddato o febbricitante… Fino ad arrivare, naturalmente, alla quarantena disposta per intere classi.
Chi conosce gli adolescenti e la loro fragilità emotiva non si stupirà nell’apprendere che molti studenti, negli ultimi giorni di scuola in presenza, erano inquieti e preoccupati e che si sono verificati casi di crollo psicologico. Per converso, il passaggio alla didattica a distanza è stato vissuto in genere senza problemi e addirittura come una liberazione: ho visto molti ragazzi divenire più rilassati ed attivi, e finalmente li ho visti davvero in faccia.
Lucia Galli