Tra i temi più dibattuti degli ultimi giorni vi è certamente quello della presenza a scuola in assenza di alunni. A suscitare un’alta mole di reazioni è stato, non a caso, l’articolo scritto su questa testata “Docenti di sostegno, figli di un dio minore…”. L’autore dell’articolo si riferiva, nella fattispecie, alle situazioni non marginali di docenti di sostegno delle superiori (o della seconda o terza media, anche delle regioni che hanno portato a fare DaD a tutti gli alunni) costretti ad andare a scuola assieme agli alunni con disabilità, pur in assenza delle classi: una “componente”, quella del gruppo-classe, che non può essere di certo trascurata. A meno che il Covid-19 non abbia ricacciato indietro la scuola pubblica italiana prima del 1977, quando fu approvata la legge di svolta n. 517 sull’integrazione e l’inclusione degli alunni disabili.
A ben vedere, a seguito della pubblicazione dell’ultimo Dpcm del 3 novembre e della conseguente nota ministeriale del 5 novembre, la lista docenti che almeno in linea teorica potrebbero doversi recare nell’istituto dove prestano servizio, benché privo di alunni, è davvero lunga. Anche nelle zone ‘rosse’.
I tanti casi di alunni che si recano a scuola
Pure nei territori dove prendersi il Covid non è così remoto, al 16 novembre risultano infatti autorizzati a frequentare la scuola in presenza una percentuale non limitata di iscritti:
- Alunni di scuola dell’infanzia e primaria.
- Alunni di scuola secondaria di primo grado ma solo delle classi prime.
- Alunni che debbano svolgere, in special modo per le materie di indirizzo, attività laboratoriali o esercitazioni pratiche,caratterizzanti e non altrimenti esperibili, purché formalmente contemplate dai vigenti ordinamenti e nel rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza.
- Alunni impegnati in percorsi per le competenze trasversali.
- Alunni in condizione di disabilità o con disturbi specifici di apprendimento rispetto alle quali condizioni sia preferibile la scuola in presenza, nel rispetto del principio di inclusività e per favorire gli obiettivi di apprendimento.
- Gruppi di alunni che siano compagni di classe di ragazzi con disabilità o con DSA, nell’ottica di permettere al disabile di interagire ai fini di un’effettiva e reale inclusività, come spieghiamo in altro articolo.
- Alunni in condizione di “digital divide” non altrimenti risolvibile.
- Alunni figli di personale sanitario (medici, infermieri, OSS, OSA…) direttamente impegnato nel contenimento della pandemia, nell’ambito di specifiche, espresse e motivate richieste.
- Alunni figli del personale impiegato presso altri servizi pubblici essenziali, nell’ambito di specifiche, espresse e motivate richieste.
- Alunni convittori e alunne convittrici nel caso in cui la scuola e il convitto siano posti nel medesimo edificio o in edifici contigui. Infatti, in questa circostanza l’eventuale passaggio alla didattica a distanza non recherebbe alcun beneficio alla salute pubblica, giacché gli studenti risiedono a pochi metri di distanza dalle aule.
- Alunni costretti a fare scuola in ospedale.
- Alunni impegnati in progetti di istruzione domiciliare.
- Alunni adulti la cui istruzione sia realizzata attraverso i Centri provinciali di istruzione. Anche per questi è possibile mantenere la didattica in presenza, salvo che per un 20% di monte ore da effettuare a distanza.
- Per le attività presso le scuole con sedi carcerarie, in particolare con riferimento alle sezioni minorili, va garantito il diritto all’istruzione, secondo le modalità da concordare con i direttori degli istituti penitenziari.
Ne consegue, quindi, che in presenza di uno o più alunni che in questi giorni stanno andando a scuola, come descritto sopra, anche i loro docenti dovranno recarsi nella sede di servizio. E non solo quelli di sostegno, poiché gli specializzati in didattica speciale pur essendo insegnanti della classe, debbono rivolgere la loro opera principalmente verso l’allievo disabile. Mentre per bes, dsa e normodotati occorre la presenza fisica del docente di disciplina comune.
Cosa fanno i docenti se gli alunni sono tutti a casa?
Un discorso a parte merita, infine, la situazione in cui gli alunni della classe – compresi gli stessi eventuali allievi disabili, bes e dsa – stiano tutti a casa, a seguito di disposizioni nazionali, regionali o locali che siano.
In tale circostanza, spetta al dirigente scolastico stabilire, come indicato nell’ultima nota ministeriale del capo dipartimento Marco Bruschi, “nel rispetto delle deliberazioni degli organi collegiali nell’ambito del Piano DDI”, se adottare “ogni disposizione organizzativa atta a creare le migliori condizioni per l’erogazione della didattica in DDI anche autorizzando l’attività non in presenza, ove possibile e ove la prestazione lavorativa sia comunque erogata”.
L’indicazione del dottor Marco Bruschi, a ben vedere, lascia ampio margine ai dirigenti su come gestire gli insegnanti in assenza di alunni nelle mura scolastiche: moltissimo dipende, ovviamente, dalle attrezzature e dai dispositivi che la scuola mette a disposizione del personale. E molto dipende anche dall’orientamento degli organi collegiali sulla materia, tenendo conto quindi pure delle specifiche finalità formative previste dal Ptof.
In certi casi è meglio che i prof stiano a casa
Perché è chiaro che laddove le scuole non abbiano dispostivi o reti adeguate per garantire una buona qualità di DaD, tenendo conto anche che la attuano alcune decine di docenti contemporaneamente, allora il capo d’istituto avrebbe tutto l’interesse a fare rimanere a casa il corpo docente.
Sempre se questo non esprima il desiderio, dettato dalla scarsità di proprie attrezzature digitali e reti internet a disposizione, di recarsi spontaneamente a scuola. Un altro caso in cui il docente fa lezione in aula senza la presenza dei suoi alunni.