Il governo Monti sembra deciso a non arretrare di un millimetro nella riduzione delle retribuzioni al personale della scuola, bloccando da un lato il contratto di lavoro fino al 2014 (l’ultimo contratto è stato sottoscritto nel 2007), compresa la misera indennità di vacanza contrattuale, e dall’altro fermando i gradoni per un altro anno ancora, travolgendo quindi l’accordo che avrebbe dovuto trovare i fondi relativi dai risparmi derivanti dal taglio di circa 135mila posti di lavoro nella scuola, destinati in epoca Gelmini a finanziare il merito. Decisione quest’ultima che ha indotto i sindacati che all’epoca accettarono l’accordo (Cils,Uil, Gilda, Snals) a dichiarare lo sciopero del 24 novembre.
In ogni caso tutto deriva dalla legge 15/2009 e dal decreto Brunetta (dlgs 150/2009) nonostante la Corte di cassazione, in materia di retribuzione, abbia ritenuto che gli importi per i lavoratori siano aggetto di contrattazione sindacale e non determinati dal datore di lavoro che nel caso del personale della scuola è rappresentato dalla Stato.
A guarda bene comunque, il blocco delle retribuzione ha innescato una reale diminuzione degli stipendi dei lavoratori della scuola a causa dell’aumento dell’inflazione che praticamente ha eroso oltre il 3% della capacità di acquisto, per cui la tensione ormai tra governo e sindacati è altissima e non pare ci siano spiragli di intesa.
Bisogna comunque sottolineare che le disposizioni varate dal governo, per ridurre unilateralmente l’importo delle retribuzioni, potrebbero essere incostituzionali, proprio per quel principio secondo il quale gli importi per il lavoro reso non possono essere determinati da “padrone” ma devono realizzarsi attraverso una democratica contrattazione.
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