Mai come quest’anno si sono verificati errori nell’assegnazione delle supplenze, errori che sono venuti fuori spesso a distanza di mesi.
E non mi riferisco ai casi in cui gli interessati hanno dichiarato servizi mai resi o di aver conseguito laurea o diploma con una votazione superiore a quella effettiva.
Molto spesso il punteggio erroneo è stato assegnato dalle scuole, per un errore nella valutazione dei titoli.
Chi sbaglia paga
Chissà perché, questo vecchio adagio sembrerebbe non trovare applicazione nel caso di errori dell’Amministrazione, che tende a scaricare sull’incolpevole supplente le conseguenze del suo cattivo operato.
Cosa prevede la normativa
Com’è noto, la supplenze possono essere assegnate sulla base delle graduatorie d’istituto o delle GPS.
La normativa è comunque sostanzialmente analoga, sia nel caso dei docenti, che nel caso del personale Ata.
Già nel contratto di assunzione, viene inserita la precisazione che – qualora vi sia stato un errore nell’individuazione dell’avente diritto- si procederà alla risoluzione del contratto.
La risoluzione del contratto
Consiste in pratica in un annullamento del contratto, che però fa salva l’efficacia del contratto nel periodo che precede la risoluzione; di fatto, una sorta di licenziamento (“la risoluzione del contratto ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite” – art. 1458 c.c.).
Il servizio reso dà diritto al punteggio?
Molte scuole erroneamente accompagnano alla risoluzione del contratto la precisazione che il servizio reso è valido ai soli fini economici, dunque non dà diritto ad alcun punteggio.
In realtà, né il DM n. 640/2017, né l’Ordinanza n.60/2020 prevedono tale conseguenza, in caso di errori della scuola.
Infatti, il D.M. n. 640/2017, che disciplina l’assegnazione delle supplenze al personale Ata, prevede la non valutabilià del servizio, in caso di “dichiarazioni mendaci”, oppure qualora il servizio sia stato reso in mancanza del prescritto titolo di studio.
Analogamente, l’O.M. n.60/2020 dispone la non valutabilità del servizio prestato dai docenti in caso di dichiarazioni mendaci
Nessuna disposizione prevede la non valutabilità del servizio in caso di errori delle scuole.
“Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.
Si tratta di un importante principio in tema di interpretazione delle leggi.
In pratica si afferma che se il Legislatore vuole qualcosa lo dice, altrimenti si presume che ciò che non è scritto in una legge non sia stato voluto dal Legislatore.
Tornando al caso che ci interessa, se nella normativa di riferimento non è stata prevista la conseguenza del riconoscimento ai soli fini economici della supplenza conferita per errore (mentre tale conseguenza è stata espressamente prevista in caso di dichiarazioni mendaci o di servizio reso senza il prescritto titolo di studio), ciò sta a significare che il servizio va riconosciuto a tutti gli effetti.
Per ulteriori chiarimenti, è possibile consultare su questa stessa testata il seguente articolo.