Un anno fa, ospite di Fiorello, aveva ironizzato sulle “più belle dimissioni degli ultimi 150 anni”. E stavolta riparte da Berlusconi: “Si è ripresentato…Signore, pietà. E’ la sesta volta, la settima ha detto che si riposa, anche lui”. Roberto Benigni torna in tv per parlare della Costituzione, ma il monologo iniziale, fulminante, è tutto sul Cavaliere. L’incipit è una catena di ringraziamenti alla Rai, al presidente Napolitano, al Papa, a Dio che via via lo rimandano a qualcuno di più importante e dunque “Grazie Silvio!”, scherza Benigni. “Volevo parlare di cose belle, ma questo dicembre ci cono state due notizie bruttissime, catastrofiche. Il 21 dicembre c’è la fine del mondo, ma non è la più brutta. L’altra ci ha spappolati tutti: con questa crisi, con tanti italiani che desiderano andare in pensione e non ci possono andare, c’è uno che ci potrebbe andare quando vuole e non c’è verso di mandarcelo”. Berlusconi ha diviso l’Italia in due. Quelli contrari e quelli disperati
Un ritorno in scena paragonabile a “un sequel dei film dell’orrore: lo squalo 6, la mummia, Godzilla contro Bersani…qualcuno può dire che ce l’ho con lui, ma è lui che ce l’ha con noi”. Non sfugge alla satira di Benigni l’intervento fiume di Berlusconi a “Domenica live” su Canale 5: “Andava in onda una sua vecchia intervista del ’94, di un’ora e mezza. Ha parlato di comunisti, di lotta alla magistratura, vi levo l’Ici, vi levo l’Imu. E ho pensato, ‘guarda nel ’94 la gente come ci cascava, se lo facesse adesso…”. E ancora: “Berlusconi ha un sogno nella testa: vorrebbe fare il Presidente della Repubblica. Sarebbe l’unica maniera di vedere la sua foto dappertutto, di vederlo in una caserma dei carabinieri”.
“Ha detto che se Monti si candida lui fa un passo indietro e allora Mario, facci questo favore, poi magari dopo due giorni smentisci, come fa lui”. Una battuta su Alfano, una su Renzi, poi da Berlusconi a Medioevo, il passo è breve: c’erano il “porcellum”, il “cavaliere di Mediolanum che si alleò con i barbari del nord” e “Dante che fondò un partito chiamato Pd, per Dante, che non vinse mai”. Poi Benigni prende per mano il pubblico in un viaggio attraverso i dodici principi fondamentali della Costituzione, “modernissima e coraggiosa”, e si emoziona nel raccontare il lavoro dei Padri costituenti, da Calamandrei a Dossetti, da Pira a Togliatti, da La Malfa a Pertini. Il testo, sottolinea, “ha anticipato l’Onu” e le battaglie per i diritti civili: “L’articolo 3 sembra scritto a Woodstock, è Imagine di John Lennon trent’anni prima. Me li immagino a Montecitorio, come fricchettoni, che si passano il ‘cannone'”.
Benigni si infervora quando parla del lavoro, dell’Italia “una e indivisibile”, della laicità dello Stato. E si appassiona sulla cultura: “Siamo il Paese della bellezza, che ha inventato la sindrome di Stendhal, l’opposto della sindrome di Bondi, per cui crollavano i monumenti, non gli uomini. Berlusconi invece è affetto dalla ‘sacra sindrome’, perché si crede Dio”. Un patrimonio da difendere: “Se non fossero nati Marconi e Meucci, qualcun altro avrebbe inventato la radio e il telefono. Ma se non fossero nati Manzoni o Leopardi, nessuno avrebbe più scritto ‘I promessi sposi’ o ‘L’infinito'”. Cita il ripudio della pena di morte e della guerra. Ma il suo articolo preferito, sottolinea, “è il dodicesimo, quello sulla bandiera, descritta nei suoi tre colori come nel tema di un bambino”.
Infine il messaggio del “patriota” Benigni’: “La Costituzione è un regalo che ci hanno lasciato: ma ciò che si riceve in eredità deve diventare nostro, bisogna conquistarlo. Qui dentro ci sono le regole per vivere tutti insieme in pace lavorando. Dico una cosa che potrebbe dire solo un Papa o un buffone: domani mattina quando vi svegliate dite ai vostri figli di andare a testa alta, di essere orgogliosi di appartenere a un popolo che ha scritto queste cose tra i primi nel mondo, e dite loro di avere fiducia e speranza”. E canta la speranza, nella versione italiana della colonna sonora de “La vita è bella” di Piovani. Standing ovation nel Teatro 5 di Cinecittà: Benigni si commuove, abbraccia il pubblico e saluta augurando buon Natale. (TG1)
Che piaccia o meno, Roberto Benigni è l’ultimo artista ecumenico rimasto all’Italia. L’unico che goda di riconoscibilità e credito in qualsiasi posto del mondo. Merito de “La vita è bella”, suo capolavoro che risale ormai a 15 anni fa e dopo il quale gli abbiamo pure perdonato un paio di film non proprio riusciti. Fa una certa impressione vederlo al centro di quel Teatro 5 di Cinecittà caro a Federico Fellini che lo diresse ne “La voce de la luna”.
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