Per il Dantedì anche questa testata si è soffermata sulla presunta ignoranza delle più banali informazioni sulla vita di Dante da parte degli studenti. Purtroppo non sono i soli.
Nel liceo in cui insegno è arrivata pochi giorni fa una lettera dalla diocesi di Milano accompagnata da qualche pagina di esegesi dantesca di un tale Franco Nembrini con richiesta di diffusione tra i maturandi.
Secondo costui sarebbe un “fatto che Dante è diventato poeta per far colpo su Beatrice”, mentre “poi Dante non ha potuto sposare Beatrice, morta giovane”.
Ora, Beatrice morì giovane, è vero, ma questo non le impedì affatto di sposarsi. Si era sposata giovanissima, forse quindicenne, con un membro della famiglia dei Bardi, noti banchieri fiorentini. E quando morì anche Dante era già sposato, e da diversi anni. Il suo matrimonio tra l’altro era stato concordato quando egli aveva ancora dodici anni.
Perché pasticciare con informazioni tanto banali e di facile reperibilità? Forse la realtà non corrisponde all’immagine dell’amore, del sesso, del matrimonio e delle diverse relazioni che si vorrebbe difendere?
E perché indirizzare queste puerili sciocchezze a studenti ormai maggiorenni e abituati a leggere testi specialistici di elevato livello? Forse per far passare a tutti i costi nella scuola pubblica messaggi di propaganda confessionale, spacciandoli goffamente per utili contenuti culturali?
Capisco che quest’anno ci sentiamo tutti un po’ dantisti, ma in diocesi non potrebbero limitarsi a rivolgere i loro interventi spirituali ai fedeli interessati nelle apposite sedi?
A insegnare agli studenti magari intanto ci pensa la scuola, che impiega allo scopo personale apposito. Insieme la scuola si può impegnare solennemente a non indirizzare mai alle diocesi suggerimenti circa i contenuti delle omelie da pronunciarsi durante le messe.
In fondo si tratterebbe di ispirarsi alla dantesca teoria dei due soli, appena adattata alla bisogna.
Andrea Atzeni