Il rientro a scuola in presenza non piace molto agli studenti e in alcune scuole italiane si stanno minacciando occupazioni e proteste: “L’unica prospettiva che ci viene proposta è quella di una scuola utile solo a mettere voti, rimandare, mettere note e bocciare, noi non ci stiamo più”.
Così in alcuni giornali che riportano il disagio dei ragazzi, i quali magari si aspettavano un’altra accoglienza e invece, appena messo piede in classe, si sono dovuti sciroppare interrogazioni e verifiche.
Dalle manifestazioni per ritornare in presenza, dopo mesi di didattica a distanza e di collegamenti spersonalizzanti dietro lo schermo del tablet, parte ora un’altra forma di insofferenza: “tutti noi ci siamo ritrovati a dover sostenere un fittissimo e insostenibile calendario di interrogazioni e verifiche. Pretendiamo che in presenza ci si confronti e si socializzi, non che il tempo venga sprecato a mettere voti”.
La scuola “affettuosa” del ministro sembra concretizzarsi in queste parole degli studenti che non ne vogliono sentire di sprecare tempo con interrogazioni e compiti, ma intenderebbero spendere le loro giornate più proficuamente, ritornando a socializzare: sarà forse questo l’”affetto” di cui parlava Patrizio Bianchi? Una scuola che si voglia bene, lasciando i giudizi in “sospeso”, come pretendeva il filosofo Pirrone di Elide che, da scettico, amava appunto sospendere il giudizio.
E infatti, in alcune scuole sarebbero stati appesi striscioni con su scritto: “Didattica a distanza per bocciarci in presenza”, “Non siamo sfaticati, siamo affaticati”, “Recuperare vite, non voti”, “La scuola che vogliamo pubblica, laica e solidale”.
Sembra comunque, leggendo le cronache di questi giorni di rientro, di maratone e di marce forzate per completare programmi e interrogazioni, che molti dirigenti siano d’accordo coi ragazzi, che non smettono di sottolineare: “non possiamo vivere sotto una pressione angosciante l’ultimo mese di scuola; le verifiche si accavallano, continuiamo ad avere compiti nella stessa settimana”.
Alla voce degli studenti si aggiungono poi le riflessioni degli studiosi: “si faccia in modo che la didattica in presenza non si riduca a verifiche a raffica e a corse a finire il programma”, ma si recuperino quelle attività “che sono venute del tutto meno in questo lungo anno: laboratori, lavori di gruppo, visite a un museo, incontri con artisti”.
Di sicuro questi ragazzi, la cosiddetta generazione Covid o Dad, hanno sofferto condizioni mai sperimentate prima e per studenti particolarmente fragili l’isolamento forzato può anche portare a fenomeni, come è stato documentato, di autolesionismo e persino tentativi di suicidio. E dunque, insistono anche gli psicologi, non bisogna insistere sulle situazioni di stress, come appunto interrogazioni a raffica e molti compiti: la riapertura doveva essere “un momento straordinario di incontro, e non un momento di recupero, di numeri e di voti”, “bisognerebbe valutare le competenze e non le conoscenze”.
Staremo a vedere cosa succederà con gli esami di Stato e con gli scrutini di fine anno scolastico, visto che, contrariamente all’anno scorso, quando fu raccomandato di non bocciare, ora si è lasciato ai Consigli di classe la facoltà anche di respingere e di no ammettere agli esami.