Bambini che a 9 anni si laureano, una storia che ogni tanto si ripete, ci sorprende ed emoziona ma non può non farci riflettere perché c’è in gioco la loro crescita emotiva ed educativa.
Ha fatto il giro del mondo la storia di Laurent Simons, il bambino belga che ad appena 9 anni sta per laurearsi in ingegneria elettronica alla Eindhoven University of Technology, e potrebbe diventare il più il più giovane laureato al mondo battendo il precedente primato di Michael Kearney che nel 1994 aveva conseguito il titolo accademico in antropologia all’università dell’Alabama quando aveva solo 10 anni.
Laurent discuterà una tesi tutt’altro che semplice perché l’argomento è un circuito che simula il cervello umano! Un dettaglio non irrilevante.
Parliamo di un bambino che ha un quoziente intellettivo di 145, superiore alla media che si attesta intorno ai 100 ma pur sempre di un bambino. Un bambino che fa i capricci come i suoi coetanei e ama giocare ai videogiochi con i suoi ex compagni delle elementari, ma la domanda che ci viene spontanea è : potrà mai fare una vita normale e simile a quella di un qualsiasi altro bambino?
Intorno ai bambini prodigio sia che riguardi il contesto accademico che cinematografico, artistico che sportivo, si creano sempre molte aspettative da parte del proprio entourage che genera il più delle volte forti pressioni emotive nei confronti del bambino.
Il parere degli esperti
Molto interessante a riguardo l’analisi effettuato su Il bolive da parte della professoressa Irene Cristina Mammarella, del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova e co-fondatrice del centro Lab. D.A., spin-off dell’ateneo che si occupa di disturbi dell’apprendimento e dello sviluppo.
Per prima cosa l’esperta sottolinea che occorre distinguere tra i bambini con talento cioè che hanno un elevato potenziale cognitivo dai cosiddetti “geni”.
Nel primo caso parliamo di bambini che hanno la possibilità di sviluppare un potenziale talento per esempio nel campo musicale ed artistico e che possono ottenere ottime prestazioni in un test di intelligenza.
I geni sono, invece, persone che oltre ad avere un alto potenziale cognitivo hanno anche una capacità creativa fuori le righe, quindi dice la professoressa:” Un primo mito da sfatare è che le persone ad alto potenziale cognitivo non necessariamente diventeranno dei geni proprio perché un’alta intelligenza da sola non garantisce un atto creativo”, quindi, ben pochi bambini prodigio sono destinati a diventare i nuovi Mozart o Picasso.
Il problema emotivo
Il problema di fondo è che questi bambini bruciano le tappe evolutive della loro crescita educativa e personale. Nei confronti del bambino prodigio si scatenano forti pressioni ed aspettative che possono portare a delle situazioni di frustrazione, sofferenza, paure con forti impatti a livello emotivo.
In conclusione, dice l’esperta, l’intelligenza emotiva potrebbe non svilupparsi di pari passo con l’intelligenza cognitiva.
Altro aspetto importante da sono sottovalutare è quello relativo ai risvolti “sociali e relazionali” che un bambino prodigio può trovarsi a fronteggiare, perché ad esempio a scuola possono provare noia e non aver stimoli sufficienti rispetto ai propri compagni e quindi avere difficoltà a livello relazionale ed isolarsi rispetto al resto del gruppo.
Ultimo aspetto da analizzare è quello relativo ai disturbi visuo- spaziali perché ci possono essere bambini con problematiche a livello emotivo legati al fatto di non riuscire a cogliere alcune sfumature a livello di emozioni e di relazioni sociali.
Ci sono svariati esempi in campo artistico di giovani attori che poi sono stati completamente travolti dal successo, i soldi per poi ritrovarsi soli da adulti, senza amici e familiari e alcolizzati.
Geni sì ma con parsimonia, rispettando la crescita del bambino. Altrimenti rischiamo di non avere un futuro adulto felice e stabile emotivamente.