Nell’ultima settimana erano state sempre più consistenti le voci che ipotizzavano come i test Invalsi potessero essere utilizzati per l’accesso programmato dei corsi universitari.
L’ipotesi non era piaciuta a varie componenti del mondo della scuola. Manuela Ghizzoni, già responsabile istruzione, università e ricerca del Pd si era così espressa:
“L’utilizzo dei risultati del test Invalsi sulle competenze di italiano, matematica, inglese in uscita dalla scuola superiore per l’accesso all’università, ipotizzato dagli organi di stampa, ci lascia molto perplessi – afferma – sia per l’uso dello strumento, nato per la valutazione e autovalutazione del sistema scolastico, sia per la settorialità dei 3 ambiti valutati a fronte dell’ampio ventaglio dell’offerta formativa universitaria”.
“Prima di adottare decisioni in questa materia è necessario coinvolgere le forze politiche, insieme ad esperti e ricercatori. Occorre definire da un lato il modo attraverso il quale recuperare le eventuali lacune di saperi e competenze dei diplomati, che riguardano il diritto sociale e civile alla conoscenza, e dall’altro i meccanismi conoscitivi delle competenze individuali utili per l’accesso e l’orientamento”.
I tanti problemi in prospettiva
Anche il professore Cristiano Corsini, pedagogista e docente presso l’Università di Roma Tre, aveva affermato alla Tecnica della Scuola tutte le sue perplessità;
“Ci troveremmo di fronte a una scelta con gravi ripercussioni negative, che metterebbe in difficoltà non solo scuole, docenti, studentesse e studenti, ma anche l’INVALSI. Si tratterebbe di un gravissimo errore, una decisione sbagliata dal punto di vista scientifico-pedagogico e politico.
I problemi sul versante scientifico sono legati al fatto che, sebbene le prove INVALSI abbiano indubbiamente dei pregi, vanno tenuti presenti anche i loro limiti. Le prove offrono informazioni rilevanti sulle conoscenze e le abilità della popolazione, ma questo non significa affatto che siano strumenti validi per misurare le competenze di un singolo individuo. Prove del genere nascono per rendere conto del sistema nel suo complesso o di gruppi. Gli errori di misura che uno strumento simile inevitabilmente comporta vengono minimizzati nella somministrazione su vasta scala, ma quando usiamo una prova come quelle INVALSI per misurare gli apprendimenti di un singolo studente ecco che la misura ottenuta sarà estremamente imprecisa e scarsamente affidabile”.
La smentita dei Ministeri
Nelle ultime ore il comunicato di smentita dei Ministeri dell’Università e dell’Istruzione, che pone fine alla questione:
“I ministeri dell’Università della Ricerca e dell’Istruzione fanno sapere che non c’è nessuna ipotesi allo studio sull’utilizzo dei test Invalsi ai fini dell’ingresso ai corsi universitari ad accesso programmato“.