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I Conservatori musicali? Non sprecano

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Nonostante queste cifre irrisorie, dice Tarcisio Tarquini su Rassegna.it, lascia ugualmente di stucco che un giornalista autorevole, come Sergio Rizzo abbia voluto proporre, partendo da un provvedimento che, dopo anni di pene e incertezze, avvia la stabilizzazione di 1.120 docenti precari (ma solo la metà a titolo definitivo), che coprono cattedre in organico e che attendevano, molti addirittura da quasi quindici anni, di essere immessi in un percorso al termine del quale si riconoscesse quello che già fanno, con soddisfazione degli studenti e delle Istituzioni che grazie a loro sono riuscite finora a garantire gli essenziali e inderogabili obblighi formativi.
La stessa Flc-Cgil ha fatto notare, continua Tarquini, che i costi di questa operazione (a somma zero, c’è da ripeterlo, perché le piante organiche sono ferme dal 1999) non sono i 60 milioni di euro stimati dal giornalista ma almeno un terzo di meno.
In più, scrive sempre Tarquini, Paolo Tombolesi, pianista jazz assai noto appartenente al numero dei docenti precari chiamati in causa, ha ricordato che il rapporto docenti – allievi, di uno a otto, citato dal giornalista come prova dell’inutilità di ulteriori assunzioni e dello squilibrio dell’organico se comparato a quello ben più alto dell’università, deve essere raffrontato semmai a quello delle istituzioni e delle facoltà musicali europee, dal momento che l’insegnamento di uno strumento, necessariamente molto individualizzato, è piuttosto diverso da una normale lezione accademica.
In più si dimentica troppo spesso che l’offerta formativa dei Conservatori, che si è ampliata notevolmente con l’entrata in vigore, prima sperimentale e adesso definitiva dei nuovi ordinamenti, è finanziata dai bilanci delle istituzioni e non dai trasferimenti statali, in una parola dai contributi didattici pagati dagli studenti. E, del resto, basta guardare i numeri di un bilancio medio di un Conservatorio per scoprire che oltre la metà delle entrate correnti arriva dalle tasche degli studenti e più o meno un modesto dieci per cento dal finanziamento ministeriale.
Ma su un altro punto Rizzo sbaglierebbe, allorchè ricorda che un recente parere dell’avvocatura dello stato ha escluso che i Conservatori debbano organizzare i corsi pre-accademici riservati agli studenti che non hanno ancora raggiunto il diploma di media superiore, e ammonisce che tali corsi siano da istituire semmai tramite convenzioni con altri istituti scolastici secondo linee guida che si sarebbero dovute sollecitamente emanare e che a tutt’oggi risultano ancora non emanate.
A consentire l’attivazione dei corsi pre-accademici sono norme contenute nella legge di riforma del 1999 e nel successivo Dpr 212 del 2005, là dove stabiliscono che, in attesa del completamento del processo di riforma, la formazione musicale di base può essere svolta dagli stessi Conservatori, purché abbiano cura di rendere possibile la frequenza degli studenti medi; ed è questa la ragione per cui si è dato vita, con modalità diverse e tra molte polemiche che hanno infuocato in tutta Italia le riunioni dei collegi dei docenti, a questo “transitorio” ordinamento che ha il pregio di fotografare lo stato di attuazione reale della riforma, coprendo il vuoto lasciato dal vecchio ordinamento.
Nel sistema compiutamente realizzato, lo studente di musica potrà contare su una formazione che si articolerà in diversi livelli: oggi, tuttavia, manca più di un elemento perché questo sia possibile, il primo dei quali è quello costituito dai licei musicali che dovrebbero essere l’anticamera del Conservatorio ma il cui numero autorizzato in questa fase di sperimentazione dal ministero è largamente al di sotto delle necessità e, aggiungiamo pure, della decenza istituzionale che imporrebbe di rispondere all’obbligo di garantire una risposta pubblica, prima di ipotizzare un ricorso, sia pure per convenzione, ai privati.
E poi ci sono i ritardi nell’approvazione degli ultimi due regolamenti necessari per completare la riforma.
C’è un dato incontestabile, in aggiunta a quello che i Conservatori (e le Accademie) costano poco e non sprecano nulla: il fatto che in essi, tra tutti gli istituti universitari, si riscontra percentualmente la maggiore presenza di studenti stranieri, richiamati dal prestigio della tradizione e dalla qualità degli studi. E, dal versante opposto, la constatazione che i giovani musicisti italiani competono con successo con i loro colleghi degli altri paesi e ricevono proposte di lavoro per cui una buona metà di loro opta per prolungare il proprio soggiorno all’estero. Anche grazie al lavoro dei “precari” che hanno suscitato lo sdegno di Sergio Rizzo