Il Ministro nel suo post si sofferma sul Programma Nazionale per la Ricerca (PNR), su Horizon2020 e si chiede cosa la ricerca italiana potrebbe fare se potesse avere più risorse. Di seguito il post del Ministro Carrozza: “Italiani popolo di navigatori” è un detto che deriva dalla nostra millenaria storia. Rivendico questo ruolo anche per quanto riguarda “i navigatori dell’ignoto”, ovvero i ricercatori, per il contributo che abbiamo dato al progresso scientifico e intellettuale del mondo. Eppure adesso la ricerca è lontana dal dibattito pubblico, relegata, spesso a ragione, fra le cattive notizie e percepita come qualcosa di distante, rischiosa, superflua. Ieri a Lisbona il Presidente della Repubblica Napolitano ha detto che “Ricerca e innovazione sono le chiavi di volta di ogni azione mirata ad elevare la competitività del nostro sistema produttivo a stimolare la crescita e a generare occupazione”.
Non posso che essere d’accordo con queste parole, ed è proprio a questi principi che ci siamo ispirati per la stesura del Programma Nazionale per la Ricerca (PNR). Un programma innovativo, nel metodo e nel merito, frutto di mesi di lavoro di ascolto di tutti gli attori coinvolti e interessati, pubblici e privati, per scrivere un piano che sia finalmente in grado di riportare la ricerca italiana al posto che merita. Per restituire ai ricercatori il ruolo da protagonisti che meritano, come motore dello sviluppo economico, sociale e culturale del nostro Paese, per dare loro più autonomia e più indipendenza.
Il Ministero si prepara ad investire 900 milioni di euro all’anno per ricerca di base e ricerca applicata, creando sinergie con gli altri enti pubblici per valorizzare le risorse ed evitare inutili sovrapposizioni. Il nuovo PNR nasce ispirandosi e inserendosi nella dimensione europea, alla vigilia del lancio di Horizon2020. È l’Europa il terreno sul quale la nostra ricerca deve giocare la sua partita, per vincere la scommessa di invertire la tendenza negativa degli ultimi anni e non tornare a mani vuote come purtroppo è successo, con una perdita complessiva del sistema nazionale della ricerca di 2,5 miliardi. L’Italia infatti ha ottenuto una quota non superiore al 9% dei fondi europei disponibili nell’ultimo programma, fondi ai quali il nostro Paese ha contribuito nella misura del 14% circa. Non ce lo possiamo permettere. Per la nostra storia, per la nostra economia, per il nostro futuro.
Chiediamoci cosa la ricerca italiana potrebbe fare se potesse avere più risorse. Abbiamo già visto che quando competiamo alla pari con gli altri, spesso i risultati sono eclatanti (come dimostra la scoperta nel 2012 del Bosone di Higgs). C’è bisogno di ricerca in Italia, per frenare la diaspora di intelligenze e idee che il nostro sistema educativo produce. Oltre al Piano Nazionale che abbiamo messo in atto, abbiamo bisogno di una nuova consapevolezza: la tecnologia che ci pervade, i miglioramenti in campo culturale, sociale e scientifico che arricchiscono le nostre esperienze, l’esplorazione dell’ignoto, rappresentano il miglior investimento per la qualità della vita nostra e delle prossime generazioni “.