Una crescita basata su conoscenza e innovazione e sulla creazione di nuovi e migliori posti di lavoro (obiettivi di Europa 2020) potrà essere prodotta solo da una società più istruita, più competente e costantemente aggiornata nelle proprie competenze. Tre strumenti chiari e semplici, cui corrispondono importanti programmi europei (Youth on the Move, Life-long learning) e finanziamenti altrettanto significativi. Non condividere questa visione significa porsi al di fuori della storia. Cosa fare in Italia, perché il numero dei nostri laureati si avvicini all’obiettivo indicato dal Consiglio Europeo perché questi stessi laureati siano pronti a fare la loro parte nell’occupare i 16 milioni di nuovi posti di lavoro altamente qualificato che saranno creati entro lo stesso anno 2020, in Europa?
Vedo tre livelli di intervento. Primo: il potenziamento del Diritto allo studio, Cenerentola nelle politiche universitarie dell’ultimo decennio, per garantire un reale incentivo al merito e una terapia efficace per la dispersione ancora altissima (in termini di studenti fuori corso e numero di abbandoni). Gli strumenti esistono, non vanno inventati: l’istituzione di un fondo nazionale per borse di studio (erogate anche nella forma del prestito d’onore), che permettano e incentivino sia la mobilità nazionale degli studenti che la mobilità internazionale è uno dei più sperimentati e con successo in molti paesi avanzati.
Secondo: la restituzione di un valore reale al titolo di studio, in cui le famiglie e gli studenti hanno perso progressivamente fiducia. Ciò significa il ripristino di una cultura del merito, che passa concretamente dal completamento del processo di valutazione della didattica e della ricerca, recentemente introdotto in Italia (ANVUR), ma non ancora messo a regime per tutto il sistema e dall’attuazione di un piano nazionale di orientamento che permetta agli studenti di scegliere in base al loro talento reale e anche considerando le potenzialità di occupazione.
Terzo: la didattica universitaria è stata radicalmente trasformata nel passaggio dalle lauree quadriennali al sistema a due livelli (3+2). Non tutto ha funzionato subito, né senza sofferenze, ma oggi la riforma è digerita. Si deve agire piuttosto sulla maggiore integrazione fra la comunità degli studenti e la comunità dei docenti: il primo commento dei ragazzi che tornano dal semestre Erasmus riguarda questo aspetto. E anche qui il cambiamento è prima culturale e poi strutturale (più elasticità nell’uso delle strutture di servizio, p.es. Perché le biblioteche di Lovanio sono aperte dalla mattina a notte fonda e le nostre chiudono inderogabilmente all’ora di cena?)
I finanziamenti pubblici dovranno essere senz’altro adeguati agli standard internazionali, ma un rifinanziamento a pioggia non produrrebbe l’aumento della qualità media e l’emergere delle eccellenze a livello internazionale. Più premialità collegata alla valutazione, anche per gli atenei. I finanziamenti privati sono stati finora timidi e occasionali. Il credito d’imposta strutturale è uno strumento ben collaudato in molti Paesi del mondo (UK, Francia, Singapore) e servirebbe ad attrarre anche investimenti stranieri in ricerca e innovazione. Tagliare veramente la spesa pubblica è un obiettivo fondamentale dell’Agenda Monti: spendere meno e spendere meglio significa collocare la spesa per l’istruzione negli investimenti in capitale umano quindi nel futuro del Paese.
Anche nel campo dell’istruzione dobbiamo introdurre e valorizzare due parole chiave: competizione e cooperazione. La competizione stimola condizioni di concorrenza fra atenei nel libero mercato internazionale, le migliori università per i migliori studenti, ma soprattutto per ricchi (Harvard è il paradigma noto). La cultura della cooperazione mira all’inclusione sociale: università di massa con libero accesso per tutti, ma spesso svalutate. I paesi che hanno privilegiato l’uno o l’altro stanno consumando il loro futuro, perché lasciare l’istruzione superiore a chi se la può permettere indipendentemente dal merito è contro la storia e l’idea stessa di progresso. Così come dare l’università a tutti, ma dargliela svalutata è come inflazionare la moneta per far tutti milionari. Cioè una truffa. Per lo sviluppo di una società globale e mobile, con tassi elevati di immigrazione (+15% nel Sud d’Europa dal 2005) e tassi drammaticamente elevati di disoccupazione giovanile (oltre il 20% in tutta l’Eurozona), educazione e cultura devono rispondere ad entrambe le missioni (inclusiva e competitiva) con equilibrio di strumenti, metodi e risorse. Partendo dalla scuola.
I princìpi enunciati sopra valgono a maggior ragione per la scuola, che è istruzione dell’obbligo e che deve quindi garantire a tutti (veramente a tutti) il più alto grado possibile di cultura e di preparazione di base per il prosieguo degli studi. Lo squilibrio che i dati OCSE-PISA 2009 hanno evidenziato riflettono uno squilibrio reale, di cui il Paese soffre a scuola e altrove. Le quattro leve che porteranno ad un maggiore equilibrio sono, nell’ordine: autonomia reale ai singoli istituti scolastici, valutazione, riqualificazione del personale docente (formazione e aggiornamento), sostegno alle famiglie (anticipazione del diritto allo studio). Sono strumenti pensati e già sperimentati con successo in altri paesi non solo per far migliorare e premiare chi ha già ottenuto risultati apprezzabili, ma anche per migliorare la performance delle regioni svantaggiate. La stima delle risorse necessarie è possibile utilizzando la previsione del FMI sulla crescita del PIL e dell’inflazione e considerando un riutilizzo pari allo 0,2% per la scuola.
Uno dei punti più delicati sul quale la nuova ministra, a domanda, si è però poco soffermata riguarda i concorsi e le graduatorie dei precari.
I concorsi sono efficaci se e solo se si svolgono regolarmente. Il concorso per gli insegnanti delle scuole è stato sospeso per 13 anni. La conseguenza non poteva che essere la patologia del precariato. Quindi concorsi regolari, che valutino competenze disciplinari e didattiche.