La campagna elettorale, in vista del voto del 25 settembre, inaspettatamente mette al centro la scuola. Si ripete, in un certo senso, quanto è accaduto negli anni di pandemia. Il tema maggiormente alla ribalta è quello sull’inadeguatezza degli stipendi degli insegnanti, fermi da quasi quattro anni e sempre più indietro rispetto alla media europea con distanze abissali rispetto ad alcuni Paesi come la Germania o al di là della Manica.
La proposta è stata lanciata qualche giorno fa dal segretario dem Enrico Letta, a Filo rosso, su Rai3: “Mi prendo l’impegno: se vinciamo, a fine legislatura, gli insegnanti saranno pagati con una retribuzione che sarà la media di quella degli altri insegnanti europei”.
A seguire anche gli altri partiti si sono allineati. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, favorita dai sondaggi a ricoprire la carica di prossima Presidente del Consiglio dei ministri, al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione ha manifestato l’intenzione di “adeguare gli stipendi degli insegnanti alla media europea”.
Peraltro anche in Francia si discute degli stessi temi, con il presidente Macron che ha dichiarato, secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore: “Abbiamo iniziato una rivalutazione generale degli stipendi due anni fa, che sarà realizzata garantendo che nessun insegnante inizi la sua carriera con meno di 2.000 euro netti al mese”.
C’è però da sottolineare che quella che in questo momento viene esposta da tutti i partiti come una priorità non è stata tale nel corso degli ultimi anni: l’ultimo aumento degli stipendi dei docenti, pari al 3.48%, risale al 2018. Si tratta dell’unico aumento degli stipendi degli insegnanti negli ultimi 12 anni. Una considerazione per la quale i lettori della Tecnica della Scuola manifestano più di un dubbio circa la credibilità delle proposte elettorali. Ecco perché ancora una volta interpelliamo il mondo della scuola: pensate che i partiti manterranno la promessa e adegueranno davvero lo stipendio dei docenti ai parametri europei?
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Ricordiamo che ad oggi, le risorse disponibili comunicate dall’Aran alle organizzazioni sindacali nell’ambito delle trattative per il rinnovo del CCNL 2019/21, consentono un aumento effettivo lordo delle retribuzioni dei docenti pari a circa 80 euro medi mensili.
E per quanto riguarda il DL 36/2022 convertito in legge 79/2022 e integrato in alcune parti dal DL Aiuti bis, in tema di incrementi stipendiali si dispone quanto segue: una remunerazione aggiuntiva una tantum (tra il 10 e il 20% dello stipendio in godimento) a seguito del superamento di un percorso formativo di 3 anni; e per i migliori (i cosiddetti docenti esperti) circa 450 euro lordi in più in busta paga, per sempre, a conclusione (con successo) di tre percorsi di formazione triennali (quindi dopo 9 anni di formazione, e successivi 3 anni di vincolo di sede).
A beneficiare degli aumenti previsti dal Governo Draghi sarebbero (tra dieci anni) tra i 20 mila e i 30 mila docenti, a fronte di un corpo insegnante di ruolo che supera le 650 mila unità. Se si comprendono i precari (fermi oggi ad uno stipendio base che va tra i 1.300 ai 1.400 euro netti), la platea degli insegnanti arriva quasi a quota 850 mila. Per assicurare indistintamente a tutti loro un aumento di almeno 300 euro netti al mese, entro il 2027, servirebbero almeno 8 miliardi di euro. Ma potrebbero anche non bastare, perchè poi l’operazione potrebbe creare più di una protesta tra gli altri dipendenti del pubblico impiego perchè rimarrebbero escluso.
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