“Non è vero che un bravo insegnante deve insegnare bene, e basta. L’insegnamento non è cultura soltanto. È vita. Per insegnare ai ragazzi, devi vivere la vita dei ragazzi. Leggere quel che leggono. Interessarti a quel che li interessa. Vedere i film che vedono. E, oggi, fare i viaggi che fanno, anche i viaggi in web”, inizia a dire Camon.
Tutto questo è vero, aggiungiamo noi, ma anche l’insegnante ha problemi coi figli, con le rate del mutuo, le tasse e perfino coi colleghi e col dirigente se ne incontra di particolari sul suo cammino. Dovrebbe essere un superuomo, in linea di principio, ma non lo è, né lo deve essere, mentre tutti i problemi della società si riflettono immancabilmente nella scuola che ne è lo specchio. Attenzione dunque a colpevolizzare con facile disinvoltura il docente che è anche lui cittadino dello Stato del quale subisce favori e ingiurie, elargizioni e batoste a cominciare dallo stipendio che deve quadrare per tenere in piedi la baracca personale del prof.
Camon racconta la sua esperienza nel primo Centro Regionale Anti-Droga fondato in Italia.
“Ci si riuniva tutte le settimane, tre professori e uno psichiatra che faceva da presidente, si discutevano i rapporti della polizia (arresti, sequestri, furti, risse), si discutevano le ultime notizie (droghe tagliate male, cecità, collassi), si esaminavano le direttive comportamentali dei movimenti giovanili, si visionavano i filmati di test ai ragazzi sotto droga, droghe leggere, droghe pesanti. I movimenti giovanili più seguiti allora diffondevano (anche nei manifesti e nelle scritte sui muri) una direttiva che torna periodicamente fuori: «Fumo sì, buco no».
Tradotto significava: marijuana sì, eroina acido e coca no”, ma, racconta Camon, ”quando visionavamo i filmati dei test su ragazzi che facevano uso di droghe, nel commento del test, lo psichiatra ci spiega che il ragazzo sotto marijuana «non sta bene in piedi»: se si mette su una gamba sola, cade. Nei test, i nostri spinellati” non reagivano agli stimoli con la richiesta lucidità, soprattutto in auto, andandosi a schiantare. E poi continua: “Un’indagine che ho qui davanti dice che in Italia i consumatori di marijuana sono il 15% della popolazione. In quel 15% ci sono in gran parte i ragazzi delle scuole, ed esattamente nelle suole medie superiori.
Ho avuto studenti che fumavano marijuana, me li ricordo bene. Non erano infelici. Ma erano, moravianamente, indifferenti. Se prendevano un brutto voto, non se ne facevano un problema. Li vedevo peggiorare di settimana in settimana. Ero io ad essere infelice, per loro. Dico questo perché ho rilasciato dichiarazioni e interviste allarmate per la liberalizzazione delle droghe leggere, e mi arrivano insulti da ogni parte, come se io non volessi la felicità dei ragazzi. Ma se non ho cercato altro che quella, in tutta la vita! Ne ricordo di così spinellati, che non han superato la Maturità e si son ritirati. Non era meglio se si maturavano e poi si laureavano?”
Precisiamo tuttavia che nella la proposta non si parla di “liberalizzazione”, ma di “legalizzazione” che è cosa diversa.