ono 786.630, l’8,8% del totale, gli alunni stranieri che frequentano in questo anno scolastico le scuole italiane, con una crescita annua di 300mila unità, più lenta rispetto ai 700mila degli anni in cui la crisi non aveva raggiunto l’attuale gravità.
La fascia che ha registrato l’incremento maggiore è la scuola secondaria, passando dai 27.594 del 2001 ai 175.120 del 2012/13, seguita dalla scuola dell’infanzia, 164.590 contro 39.445.
Due fenomeni spiegabili, da una parte, con una minore dispersione scolastica rispetto al passato; e nel secondo caso con la crescita del numero dei nati in Italia. E dunque «stranieri» solo per legge: una legge che appare sempre più datata.
Le anticipazioni di stampa sui dati relativi agli alunni stranieri, il “Rapporto nazionale sugli alunni con cittadinanza non italiana” (in sigla Cni), di prossima pubblicazione sul sito del Miur, dicono pure che la multietnicità in Italia è ormai un fatto strutturale, mentre i paesi di provenienza degli alunni sono:
rumeni (148.602), albanesi (104.710) e marocchini (98.106) sono i più numerosi in tutto il territorio. Seguono alcuni paesi asiatici (Cina, Filippine, India, Pakistan, Bangladesh), dell’Europa centro orientale (Moldavia, Ucraina, Macedonia), del Nord Africa (Tunisia, Egitto) e dell’America Latina (Ecuador e Perù).
Sono concentrati soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro, con presenze più numerose nelle province di media e piccola dimensione.
In ogni caso gli 800 mila ragazzi stranieri si distribuiscono in maniera non uniforme sul territorio. Pochi nel Sud, molti nel Centro e ancora di più nel Nord del paese. Il 60% degli istituti non supera un’incidenza del 15 per cento di stranieri. È aumentato, seppur di poco, 4,7%, il numero di scuole che hanno una quota di “non italiani” superiore al 30%. Ci sono poi 453 istituti, 37 in più dell’anno prima, in cui l’incidenza degli stranieri arriva al 50% e oltre. Costituiscono appena lo 0,8% delle scuole italiane, ma concentrazioni del genere vanno assolutamente scoraggiate perché negative dal punto di vista dell’istruzione, sociale e individuale.
Ma ci sono anche «scuole ad alto impatto», dove la presenza di «Cni» supera quota 50%. Sono 453 istituti, appena lo 0,8% (58 sono a Milano, 32 a Brescia, 31 a Torino, 20 a Roma), ma suggeriscono situazioni che potrebbero essere considerate delle enclaves per stranieri poco dotati, ragazzi che possono manifestare problemi di integrazione, non solo sul piano scolastico, ma anche linguistico, familiare, lavorativo.
Le bocciature per gli studenti non italiani sono più pesanti soprattutto al primo anno delle medie e delle superiori; la canalizzazione eccessiva (80%) verso tecnici e professionali; il ritardo d’età rispetto agli italiani in quasi ogni ordine e grado: sono in ritardo il 16% degli studenti stranieri delle primarie, arrivano a 7 su 10 alle superiori.
Resta la lingua italiana la vera difficoltà, appianata la quale, le altre materie si incasellano senza problemi.
Si riduce il divario all’esame finale: supera la Maturità lo 0,1% in meno di stranieri rispetto agli italiani. Anche nei voti non ci sono grandi differenze, tranne nei Licei, dove, esce con un voto superiore al 90/100 il 7,4% degli alunni «Cni» contro il 13,7% degli italiani.
Il Rapporto 2012/2013 si occupa quest’anno per la prima volta di alunni stranieri con disabilità certificata (visiva, uditiva, psico-fisica). La presenza di questa compagine – raddoppiata negli ultimi 5 anni – è calcolata al 3,1% tra gli alunni Cni e al 10,8% tra gli alunni con disabilità. Sono iscritti soprattutto alla scuola secondaria di primo grado (4,4%).
Un altra tendenza netta è la «femminilizzazione» del fenomeno: si avvicinano i numeri delle ragazze native e «non italiane», a indicare un calo nella predominanza maschile nella società degli immigrati.