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Domani la Corte di Giustizia Europea decide le sorti di 140 mila precari

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Mancano poche ore all’attesa sentenza con cui la Corte di Giustizia Europea si dovrà esprimere sull’assunzione nei ruoli dello Stato di 140 mila precari della scuola italiana che hanno svolto almeno tre anni di supplenze: domani i giudici di Lussemburgo dovranno giudicare la Legge italiana 106/2011, dopo che già la Corte Costituzionale e il Tribunale di Napoli, rispettivamente con le ordinanze n. 5288/12 e n. 207/2013, hanno posto dei dubbi sulla legittimità dell’intervento retroattivo e derogatorio del legislatore italiano in tema di stabilizzazione dei precari della scuola. Rendendo quindi necessario l’intervento chiarificatore, a questo punto decisivo, della Corte europea.
Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, che raggiungerà Lussemburgo in serata, sa bene che l’esito della sentenza della Corte europea rappresenta un crocevia fondamentale per vincere la battaglia legale avviata proprio dall’Anief nel gennaio del 2010 (come riportato da un quotidiano nazionale del 16 gennaio di quattro anni fa), per rivendicare il principio di “non discriminazione” tra il personale di ruolo e il personale nominato alla medesima funzione con contratto a tempo determinato. Un principio eluso proprio dalla Legge 106/2011, attraverso cui è stato deciso che nella scuola non si applica il D.lgs. 368/2001 che recepisce la direttiva comunitaria sui contratti a termine e autorizza un nuovo massiccio piano di immissioni in ruolo. Ignorando, in tal modo, la direttiva comunitaria n.70 del 1999, negli ultimi 15 anni lo Stato italiano ha così utilizzato più di 300 mila precari per coprire incarichi anche su posti vacanti e disponibili che avrebbero dovuto essere assegnati in ruolo dopo 36 mesi di servizio, come avviene nel settore privato.
Ma ‘in ballo’ non c’è solo la stabilizzazione di 140mila precari con almeno tre anni di contratti. Il diritto comunitario, sempre sulla base della direttiva 1999/70/CE, prevede pure un risarcimento danni “dissuasivo” e l’applicazione del principio di non discriminazione tra personale di ruolo e a termine anche in tema di scatti stipendiali. Anche in questo caso, i precedenti fanno ben sperare: del 2011, quando sono stati avviati i ricorsi seriali dell’Anief per migliaia di precari, cui hanno fatto seguito quelli di altre organizzazioni sindacali, sono stati ottenuti diversi pronunciamenti dei giudici nazionali con condanne alle spese che nelle prime udienze di merito sono arrivati fino a 30 mila euro di risarcimento danni a carico dell’amministrazione per abuso del contratto a termine. Più recentemente, il giudice Petrusa di Trapani ha disposto come congruo risarcimento danni più di mezzo milione di euro a tre precari. Ancora altri precari hanno ottenuto il riconoscimento economico e amministrativo della progressione di carriera. Oltre che dei periodi estivi non corrisposti economicamente. In alcuni casi si è ottenuta anche la stabilizzazione a titolo definitivo.
“La partita sulla stabilizzazione di tanti precari – spiega Pacifico – è veramente a un bivio: se i giudici di Lussemburgo daranno un giudizio favorevole alle istanze presentate prima di tutti dall’Anief, censurando quindi la norma italiana, indurranno infatti tutti i giudici del lavoro italiani chiamati ad esprimersi su casi analoghi a adeguarsi e ordinare la stabilizzazione del ricorrente precario. Oltre che a condannare alle spese legali il Miur”.
“E non avrebbe alcun effetto – continua il sindacalista Anief-Confedir – la sentenza negativa della Cassazione in materia. Si metterebbe, quindi, la parola fine alla cattiva prassi, tutta italiana, che mortifica la condizione lavorativa di tantissimi lavoratori della scuola e che incide non solo sulla continuità didattica ma anche sulla motivazione professionale e personale di ogni dipendente rimasto precario contro legge. Inoltre, l’espressione dei giudici della Corte di Giustizia Europea potrà anche venire incontro al ‘masochismo’ dello Stato italiano. Che pur di mantenere decine e decine di migliaia di lavoratori nello stato di precarietà è riuscito a produrre un danno all’erario”.
Poche settimane fa, infatti, la Ragioneria Generale dello Stato ha rilevato che tra il 2007 ed il 2012 il numero insegnanti, dirigenti e personale non docente a tempo determinato si è quasi dimezzato. E non certo per effetto delle immissioni in ruolo, visto che nello stesso periodo si è provveduto poco più che a coprire il turn over. Dei 124.292 posti tagliati nel comparto dell’istruzione pubblica, ben 93.730 hanno riguardato dipendenti non di ruolo.
Ma quanto ha guadagnato lo Stato da questa operazione? Nulla. Anzi ha incrementato la spesa per coprire le supplenze di oltre il 50%. Scorrendo sempre il documento prodotto dai tecnici di Viale XX Settembre, emerge che la “Spesa per il tempo determinato” nella Scuola italiana è passata dai 512,69 milioni di euro del 2007 agli 861,10 del 2012. Facendo quindi registrare – unico caso nella PA – un incremento del 68%, superiore ai 350 milioni di euro, rispetto alla spesa per le supplenze sostenuta cinque anni prima. Nello stesso periodo nella Sanità, dove si sono effettuate 24.000 stabilizzazioni, la spesa per il personale a tempo determinato si è invece ridotta di 80 milioni di euro (- 7,5%).
“Oltre all’aumento del 68% delle spese per i precari della scuola – sottolinea Pacifico – , con conseguente aggravio di spesa per le tasche dei cittadini, l’inutile mantenimento in vita di così tanti supplenti ‘storici’ ha anche prodotto seri danni alla continuità didattica degli alunni. Ad iniziare da quelli portatori di disabilità o con limiti di apprendimento: in base alla normativa, infatti, ogni due alunni con handicap grave dovremmo avere in servizio un docente di sostegno. Invece nell’anno scolastico in corso ci ritroviamo con oltre 222 mila alunni, mentre i docenti di sostegno di ruolo sono quasi la metà, poco più di 62 mila”.
“Va ricordato, però anche, che la sentenza Ue potrà avere ripercussioni anche sulle attese di altri 150 mila docenti rimasti fuori dalle graduatorie provinciali, seppure abilitati alla professione attraverso TFA, SFP, Diploma magistrale, PAS. E che chiedono, legittimamente, – conclude il sindacalista Anief-Confdir – di essere inseriti nelle graduatorie”.