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DSA: i COBAS contro la medicalizzazione degli apprendimenti e la rinuncia alla relazione pedagogica

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Ciò che emerge dagli ultimi dati sugli alunni/e con diagnosi DSA (Disturbi specifici dell’Apprendimento), presentati nel Focus del Ministero dell’istruzione per gli anni 2019-2020 e 2020-2021 è, innanzitutto, l’aumento progressivo del numero di alunni/e con tali “disturbi” che, da una percentuale pari allo 0,91% del 2010/2011, arriva al 5,41% del 2020/2021 (cfr. tabella). Tali “disturbi” (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia), hanno ricevuto dalla Legge n.170/2010, riconoscimento e tutele specifiche, con provvedimenti dispensativi e compensativi e una didattica individualizzata. Dallo studio del Ministero emergono, però, altri due dati interessanti: uno riguarda la distribuzione delle presenze DSA nei vari gradi di scuola, con la scuola secondaria statale al 6,9%-6,8%, e la non statale all’8,9%, mentre la paritaria addirittura con il 10,04% di studenti DSA; l’altro riguarda le differenze territoriali di tali presenze, con il Nord-Ovest che ha un numero di certificazioni nettamente superiore a quelle del Sud (Nord Ovest: primaria 7,8%; secondaria I grado 8,9%; secondaria II grado 9,7%; Sud: primaria 1,9%; secondaria I grado 3,3%; secondaria II grado 3,0%).

I dati fanno riflettere, ma ciò che li uniforma è l’approccio usato nella definizione delle difficoltà di apprendimento degli studenti: un approccio clinico-medico, che parla di “disturbi” dell’apprendimento, utilizzando esclusivamente categorie diagnostiche per definirne l’andamento. Così, non considerando, del tutto o quasi, che l’apprendimento è direttamente influenzato da problematiche familiari, sociali e materiali, che possono interferire nella relazione con gli altri e nei processi di assimilazione e acquisizione dei saperi, si procede, come nella pratica medica, al riscontro di anomalie patologiche nei confronti delle quali si interviene con strumenti standardizzati. Si va avanti, cioè, per misurazioni e quantificazioni, trasferendo le “responsabilità” dell’anomalia a cause cliniche e genetiche (anche se in un recente studio apparso nel novembre scorso sulla rivista Nature Genetics volume 54, dal titolo Discovery of 42 genome-wide significant loci associated with dyslexi, i pochi marcatori genetici trovati sono stati giudicati poco convincenti), che finiscono per deresponsabilizzare tutti, i singoli come le istituzioni che non hanno più bisogno di interrogarsi sulle cause delle difficoltà. Ricorrendo al concetto di “disturbo”, non si deve fare altro, infatti, che rimettersi nelle mani degli “esperti” , eseguendo le indicazioni da loro fornite (o imposte), senza interrogarsi sulle possibili cause “altre”, così come sulle mancanze della scuola, della famiglia, dei docenti , degli stessi studenti: anche se poi sono gli insegnanti ad essere considerati gli unici responsabili delle mancanze dei propri studenti, tra i quali, quando calano le attese sia delle famiglie sia della scuola, si registra la diminuzione sistematica dei livelli di apprendimento.

Molti tra i docenti più sensibili alle problematiche dei DSA hanno fatto presente al CESP, nei numerosi seminari svolti in questi anni dal Centro Studi, che la segnalazione da parte loro del “disturbo” a genitori e colleghi e il conseguente ricorso a interventi medici, era apparsa una scelta obbligata, l’unica per riuscire a rendere visibile una difficoltà sempre più dilagante. Tale proposito, però, non ha innescato in questi anni processi virtuosi, anzi, ha portato i docenti a rinunciare alla gestione della relazione didattica e pedagogica con gli studenti, delegando ai sanitari l’intervento, ed ha spesso comportato l’emarginazione di studenti nella classe o il loro rifugiarsi in una “malattia” che non li rende responsabili di fronte ai propri insuccessi scolastici, offrendo ai genitori il miraggio che la diagnosi o il Piano didattico personalizzato possano essere la soluzione dei problemi (oltre che un’arma di controllo degli insegnanti). In più, tale situazione ha determinato lo sviluppo di attività imprenditoriali di ogni genere, rendendo ancora più difficile uscire dal vicolo cieco in cui sembra essere finita la scuola in tale ambito di intervento. Dunque, appare sempre più urgente evidenziare agli stessi docenti i rischi della medicalizzazione dei processi di apprendimento, rispetto ai quali non si può rispondere con misurazioni, valutazioni, schedature diagnostiche e relative misure compensative e dispensative che non solo non risolvono la questione, ma pongono fittizi paletti di confine tra normale e patologico, stigmatizzando, escludendo, discriminando.

Anna Grazia Stammati Esecutivo Nazionale COBAS Scuola