Torna alla ribalta in questi giorni la vecchia questione della classe di concorso per il sostegno. Ne parliamo con alcuni esperti della materia.
“Nell’incontrare il ministro Valditara – ricorda Evelina Chiocca, presidente nazionale del Coordinamento italiano insegnanti di sostegno – i rappresentanti della FISH hanno messo nuovamente sul tavolo ‘l’esigenza di approvare una proposta di legge sulla creazione di una specifica cattedra per il sostegno’, introducendo la separazione delle carriere. Fra le motivazioni che supportano questa scelta, vi sarebbe la necessità di impedire al docente specializzato e abilitato all’insegnamento di chiedere il trasferimento su posto disciplinare che la norma, giusto per chiarire questo passaggio, ora prevede”.
“Da troppi anni – aggiunge su questo punto Raffaele Iosa, già dirigente tecnico ed esperto di inclusione scolastica – la gestione dei posti docenti (non solo sostegni) è caotica, precaria, senza qualità selettiva e senza continuità educativa. C’è anche una generale crisi vocazionale a scegliere la professione docente. Questo spiega la proposta della FISH sulle cattedre di sostegno, ma non la condivido perché otterrebbe l’effetti peggiori dei tanti guai di oggi
Cioè? Si spieghi meglio
Chiarisce Iosa: “Fin dagli anni ’70 il cosiddetto “sostegno” dovrebbe essere un compito diffuso di tutti i docenti della classe. Con le cattedre speciali invece si confermerebbe e aumenterebbe la separazione e la delega già oggi purtroppo presente su chi insegna ad un alunno con disabilità e gli altri docenti curricolari”.
Tutto giusto, ma perlomeno si potrebbe garantire una maggiore continuità didattica.
“Non è così” interviene Evelina Chiocca che aggiunge: “Io credo che la continuità non possa essere prerogativa di un solo docente, ma debba coinvolgere tutti i docenti della classe. Peraltro si sa quali sono le modalità del reclutamento del personale docente. Non è detto che lo stesso docente rimanga anche l’anno successivo (anche in questo caso esistono i ‘perdenti cattedra’). Così come non è sempre garantita la qualità degli interventi”.
In ogni caso si eviterebbe il continuo passaggio dei docenti di sostegno sui posti comuni
“Certo – risponde Chiocca – ma sfugge ampiamente il fatto che le competenze professionali del docente specializzato, che passa su posto disciplinare, restano a disposizione di tutti gli alunni delle classi alle quali sarà assegnato, a totale beneficio del processo inclusivo. In questo caso il docente non pronuncerebbe e non penserebbe ad espressioni quali ‘con lui non ci lavoro’ ”.
Raffaele Iosa non ha dubbi: “I rischi della proposta della FISH sono pesanti; si consoliderebbe una tendenza ormai atto: meno inclusione è più isolazione, magari nei ghetti delle tante aule H presenti oggi. Cioè scuole speciali di nuova versione. Una seria inclusione invece è questione di tutti non di speciali carriere. Purtroppo però la formazione generale di tutti i docenti curricolari all’inclusione non esiste, né iniziale né in servizio. É quindi un circolo vizioso assurdo che sta rovinando la pregevole esperienza italiana. L’anticamera del ritorno alle scuole speciali”.
“Concordo con Iosa – interviene Evelina Chiocca – bisogna avviare, subito, la formazione in ingresso completa delle tematiche dell’inclusione scolastica, promuovendo seri corsi di formazione e/o di aggiornamento per il personale in servizio, anche con distacco nel periodo di formazione”.
La proposta della FISH solleva dubbi anche per altre ragioni.
Massimo Nutini, consulente dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, si sofferma per esempio sulle questioni di competenza degli enti locali: “Non condivido la proposta di togliere l’aggettivo ‘specialistica’ all’assistenza per l’autonomia. Tale aggettivo è stato introdotto dalla circolare 3390/2001, dopo il passaggio dei collaboratori scolastici dai ruoli dei comuni ai ruoli dello Stato, perché era già presente nella 369/1976 e nella legge 517/1977 mentre nel CCNL scuola non è presente perché si utilizza l’aggettivo ‘qualificata’. Il termine ‘specialistica’, al contrario è indispensabile per tenere distinto ciò che devono garantire i comuni da quello che è competenza della scuola ovvero l’assistenza di base”.