Dopo aver intervistato il professor Dario Ianes, sul tema della classe di concorso su sostegno parliamo anche con Paolo Fasce, dirigente scolastico dell’Istituto Tecnico Nautico di Genova e Camogli che da anni si occupa dell’argomento.
E’ vero che, come sostengono diverse associazioni delle famiglie di disabili, questa soluzione potrebbe risolvere il problema della continuità didattica?
Attualmente, soprattutto nella secondaria di secondo grado, molti docenti conseguono la specializzazione e poi si dedicano alla attività di sostegno perché la loro laurea non consentono sbocco materiale sulle classi di concorso “ordinarie” (penso ad esempio a ai laureati in psicologia o in storia dell’arte). L’effetto della classe di concorso sarà quello di consentire di annunciare di raggiungere il risultato di garantire la continuità ma in realtà gli effetti saranno diversi.
Dario Ianes sostiene che la cattedra mista, e cioè consentire ai docenti di svolgere una parte di orario sulla propria disciplina e una parte sul sostegno, potrebbe essere una buona soluzione. Lei è d’accordo?
Certo. Si tratta di passare da una mentalità che strutturalmente vilipende la figura dell’insegnante di sostegno ad una che ne valorizzi il titolo, le capacità, la finalità. Per questo occorre che la specializzazione sia offerta a tutti e chi la possiede, oltre alle ore sul posto comune, ne utilizzi parte sul sostegno, anche come soprannumerarie. Ma occorre anche che “il merito della specializzazione” venga riconosciuto economicamente, trasformando il punto di vista complessivo.
Per realizzare le cattedre miste bisognerebbe però che anche i docenti curricolari avessero adeguata formazione sui temi dell’inclusione. Ma l’esperienza dei corsi di 25 ore per tutti non ha avuto gli esiti sperati. Come mai secondo lei?
Intanto io non sono neppure sicuro che queste ore siano state frequentate diffusamente. Ci sono casi di evasione da questo obbligo eclatanti e, ahimé, ci sono anche presidi che non sono stati autentici garanti della normativa.
E’ una questione di mentalità diffusa, difficile da scardinare: la formazione è “obbligatoria, strutturale e permanente”, ma poi deve essere deliberata dai Collegi. Credo che si debba passare alla figura del supervisore che consenta di assegnare a ciascun docente moduli formativi sempre disponibili sul territorio. Penso a quelli erogati dagli Ambiti territoriali, quelli finanziati tramite il PNRR, ma anche alla miriadi di convegni organizzati dalle Università e da associazioni accreditate ai quali, in questa fase, partecipano però sempre le stesse persone.
Nella sua scuola si ci sono esperienze di cattedre miste?
Sì, ma purtroppo sono davvero poche.
E sono poche innanzi tutto perché mancano decreti attuativi del D.Lgs. 66/2017 e perché la logica della sostituzione non paga. Fare un certo numero di ore di sostegno invece che di materia è onestamente appannaggio solo di persone sante.
Bisognerebbe introdurre un meccanismo diverso, per esempio consentendo di utilizzare le cosiddette “ore in eccedenza” che permetterebbero di incrementare lo stipendio in modo signficativo.
Per esempio chi fa otto ore di sostegno, potrebbe lavorare fino a 2 ore in eccedenza, chi ne fa 10 potrebbe lavorarne 4 ore in eccedenza e così via. Sicuramente ci sarebbero molti docenti in più disponibili.