Cara Serracchiani,
come lei ben sa la storia è costellata, purtroppo, di tantissime iniquità e violazioni dei diritti fondamentali dei lavoratori; mi permetta però di dirle che mai come negli ultimi vent’anni, mai nessuno come il glorioso popolo dei pensionandi della scuola di Quota 96, credo, aveva lottato con tanta caparbietà e tanta giustezza per il riconoscimento di un proprio diritto impunemente violato dal governo Monti e ignorato dal governo Letta.
Sto parlando di quei circa 4.000 lavoratori della conoscenza rimasti impigliati nelle maglie della riforma Fornero a causa di un errore tecnico e ai quali è stato negato il diritto, acquisito già da settembre 2011, di accedere alla pensione nell’anno scolastico 2011-2012. Il Comitato Civico «Quota 96» – sorto in loro difesa e divenuto popolare con alcune manifestazioni romane cui hanno preso parte attiva esponenti di spicco del suo partito – le lancia un appello accorato e incisivo perché si corregga una volta per tutte quell’errore contenuto nella riforma Fornero, una riforma previdenziale che non ha tenuto conto della specificità dei lavoratori del Comparto Scuola e ha assimilato improvvidamente le leggi speciali che regolano questo settore alle leggi generali di tutti gli altri settori della Pubblica Amministrazione.
Che pasticcio, cara Serracchiani! Eppure è ormai chiaro ai politici in parlamento e nel Palazzo che la scuola segue da sempre, per naturali esigenze didattiche, i ritmi dell’anno scolastico e non quelli dell’anno solare. Come si è potuto commettere l’errore di far finire l’anno scolastico il 31 dicembre 2011? Si tratta di una svista che ha dell’inammissibile per non dire dell’assurdo. È stato profusamente ripetuto da parlamentari, giuristi e politici che si è perpetrato un errore clamoroso ai nostri danni, un errore ammesso non solo dal giudice Ferdinando Imposimato ma dalla stessa Fornero qualche giorno fa, quando è intervenuta nel dibattito in nostro appoggio rispondendo alla lettera di una docente nella quale ha ribadito la perfetta liceità del nostro diritto e ha innescato, per contrappasso, un’acre requisitoria contro i governi passati e presenti rei di non aver risolto prima, a suo dire, la vexata quaestio che ci attanaglia e ci tiene incatenati al nostro posto. Un posto a cui non siamo affatto legati, ci creda, e che cederemmo volentieri ad altri 4.000 precari facendo la loro (e la nostra) felicità. Perché l’Italia, nonostante i problemi strutturali, come auspicato dal segretario del suo partito, è un paese in cui bisogna investire per dare spazio ai giovani e al turn over.
Se si tratta di un diritto acquisito – come ormai da tempo vanno proclamando in coro tutte le forze politiche, dal Pd al Pdl, dal M5S a Sel, da Boccia a Ghizzoni a Puglisi, da Saltamartini a Centemero, da Marzana a Pannarale – che cosa aspetta il governo Renzi ad affrontare di petto la questione dando ad essa una soluzione definitiva? Le promesse, a questo punto del nostro faticoso cammino, dopo quasi tre anni di lotte, di contrarietà e di umiliazioni estenuanti, non bastano più; né può bastare, tantomeno, il comodo alibi, pronto per ogni stagione, che non ci sono le coperture finanziarie. Ebbene no, cara e gentile Serracchiani, un diritto rimane un diritto e aspetta solo di essere sanato da una repubblica che si dice ancora democratica in teoria. Basta la volontà politica, giusto? Elementare, allora, Watson. Il Pd ci aveva promesso nero su bianco che avrebbe sanato la nostra questione subito dopo il caso degli inidonei, poi risolto lo scorso settembre. Ricorda? Purtroppo, però, a quasi un anno da quelle promesse, siamo ancora fra color che son sospesi, disillusi, stremati e amareggiati oltre misura.
Non siamo più dei ragazzini! Siamo dei sessantenni suonati! La cosa che più scotta è che ci è stato illogicamente impedito, a causa di un’insensata e non corretta applicazione di quella riforma, e badi bene solo per l’anno scolastico 2011-2012, di andar via con le vecchie regole sancite dall’articolo 59 della legge 449/97 che statuisce la specificità della scuola nei pensionamenti.
Un atto di «cattiva coscienza», se posso dirlo con una parola cara al filosofo Vladimir Jankélévitch. Regole riconosciute dai vertici del Miur oltre che dalla ministra Giannini. Il dovere di rimanere in servizio per altri tre, quattro o anche cinque anni ci è stato imposto subito; però il diritto di usufruire di quella legge, invece, una legge che tutela il nostro diritto a pensione, ci è stato ingiustamente negato, direi quasi barbaramente e vergognosamente scippato. E attendiamo ancora che giustizia venga fatta. Oggi, nel momento della nostra massima visibilità politico-mediatica, quando tutto il mondo della politica ci va dando ragione a parole, mancano purtroppo i fatti, sempre e solo i fatti. Corre dunque l’obbligo morale al Pd di risolvere questa questione a brevissimo termine con un atto politicamente forte, o inserendo Quota 96 nel decreto Madia o tramite un decreto ad hoc che attinga al fondo esodati. Scelga il premier la forma migliore o più consona.
L’importante è che si metta la parola «fine» alla nostra incredibile odissea. Siamo un popolo di educatori e meritiamo una risposta chiara, eloquente, decisiva. Per anni e anni, malgrado stipendi sempre più umilianti, con sacrificio, dedizione, pazienza e con soprattutto tantissima buona volontà, abbiamo sorretto il peso della formazione e curato la crescita delle nuove generazioni. Abbiamo fatto volontariato malgré nous. Non vogliamo perdere la fiducia nella convivenza civile, nelle istituzioni democratiche, nella legalità, in quei valori che trasmettiamo ai nostri ragazzi. In fondo ciò che chiediamo è solo l’applicazione corretta di leggi ancora vigenti. Le normative speciali sulla scuola, concepite per garantire il buon funzionamento del processo educativo, non possono essere applicate a giorni alterni, secondo l’interesse o l’arbitrio del momento.
Per questo la preghiamo di intervenire con la sua autorevolezza presso i ministri dell’Istruzione e dell’Economia al fine di far riparare il torto causato da una formulazione difettosa di quella riforma pensionistica che porta il nome della Fornero. Non sarebbe bello né eticamente né politicamente che la brutta figura dello Stato nei confronti dei suoi più leali collaboratori, che non sono suoi sudditi, proseguisse oltre.
Cordiali saluti e grazie dell’attenzione.
Giuseppe Grasso
Direttivo Comitato Civico «Quota 96»