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Fobia scolare, perché i ragazzi hanno paura ad andare a scuola? L’esperta: “nasce da una preoccupazione della prestazione. La scuola ha un compito complesso”

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Ansia generalizzata, hikikomori e disturbi dell’apprendimento, sono queste le caratteristiche che accumunano molto giovani della generazione Z. Ma da cosa scaturiscono? Anzi, sarebbe meglio dire a cosa porterebbero? La responsabile dell’Area età evolutiva dell’Itci (Istituto di terapia cognitivo interpersonale) di Roma, Maura Bruno, intervistata da Vatican News parla di questa “fobia scolare”, cioè quel disturbo in cui ansia e paura di andare a scuola sono a livelli elevati.

L’esperta ha affermato: ” La dinamica della fobia scolare diventa così importante perché intercetta quelle che sono le caratteristiche di questa società post pandemica dove viene data attenzione alla competitività. Gli adolescenti, sono spaventati da questi parametri di accettazione sociale (elevata paura di sbagliare, di ricevere voti negativi, di deludere le aspettative dei genitori e di fare una brutta figura davanti ai compagni). Alla base di questo sentire c’è una sensazione di vergogna che temono e quindi anticipano questa paura non andando a scuola”.

“La pandemia ha aumentato in maniera esponenziale i casi di fobia scolare”, continua Mara Bruno, “il nostro servizio, ad esempio, si è interfacciato con ragazzi che a causa del Covid, si sono ritrovati a frequentare la 5.ª elementare e poi di colpo la fine del ciclo delle scuole medie. Questo ha reso le loro competenze sociali molto immature. In tutto questo il disorientamento pandemico ha coinvolto anche la parte genitoriale. Intere famiglie sono rimaste in casa, dovendo riformulare le proprie dinamiche in maniera completamente differente.”

L’esperta si rivolge anche ai docenti: “La scuola oggi è di fronte a un compito molto complesso perché deve preparare i ragazzi a vivere in una società che non sa esattamente come si sta evolvendo. Questa generazione si orienta sempre di più verso un’immagine ideale che ha necessità di essere confermata attraverso risultati visibili agli altri. Puntare l’attenzione sui programmi didattici non porta da nessuna parte, i ragazzi hanno bisogno che ci si sintonizzi emotivamente, affettivamente con loro prima ancora che con il loro rendimento”.