Se è di pochi giorni fa l’ammissione da parte del Governo Meloni sull’impossibilità nel 2023 di anticipare il pensionamento dei lavoratori previsto dalla Legge Monti-Fornero del 2011 (come invece era stato promesso in campagna elettorale, in particolare dalla Lega), perché non ci sono le coperture economiche e se ne riparlerà non prima del prossimo autunno, da alcuni rappresentanti dell’esecutivo arrivano parole rassicuranti per il futuro. A riaccendere le speranze di tanti ultrasessantenni, già rassegnati a lasciare il lavoro non prima dei 67 anni, è stato il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon: prendendo la parola il 18 aprile, durante una tavola rotonda organizzata dalla confederazione Aepi, il sottosegretario ha detto che sicuramente “supereremo la legge Fornero sulle pensioni. La sostenibilità è determinante, abbiamo iniziato un percorso, abbiamo iniziato con Quota 100 e Quota 41 con 62 anni di età” (la cosiddetta Quota 103 in vigore fino a fine anno) e “stiamo lavorando perché ciò avvenga”, ha precisato.
Quel “paracadute” che non c’è più
Il sottosegretario ha aggiunto che il Governo – che comunque già nella Legge di Bilancio 2023 ha tagliato drasticamente la possibilità di anticipo pensionistico rispetto ai “paracadute” della precedente legislatura – ha davanti cinque anni” di legislatura.
Quindi, il leghista si è soffermato sul fatto che “tanti incidenti avvengono anche perché i lavoratori ad un certa età non sono più adeguati a certe mansioni: a 65-66 anni non hanno la contribuzione necessaria per andare in pensione e devono ancora lavorare“.
Sulla questione della sicurezza sul lavoro, Durigon ha sottolineato che “manca ancora troppo all’obiettivo ‘zero infortuni’. Ma dobbiamo averlo e raggiungerlo. Gli incidenti sono tanti. Serve una inversione e un cambio di cultura, a partire dalla scuola. Un obiettivo su cui lavorare tutti insieme”.
Anche fare l’insegnante è incompatibile con l’età elevata
Va ricordato che a non potere più sostenere i ritmi lavorativi regolari non sono però solo le professioni di “fatica”: anche quella dell’insegnamento è un lavoro a rischio. Sono recenti i dati sugli ultimi studi epidemiologici sulle patologie crescenti che colpiscono chi è costretto a rimanere dietro la cattedra dopo i 60 anni (soprattutto donne, che rappresentano oltre 80 per cento della categoria): dagli ultimi studi, ha detto di recente Vittorio Lodolo D’Oria, medico esperto in malattie professionali degli insegnanti, “emerge un drastico aumento delle diagnosi psichiatriche (dal 31 all’82%) nelle inidoneità lavorative per motivi di salute”.
“In altre parole, l’allungamento dell’età lavorativa è direttamente proporzionale all’incidenza delle malattie professionali, ma basta ignorare il dato e la riforma passa sottotraccia realizzando l’ennesimo paradosso che si aggiunge al mancato riconoscimento istituzionale delle patologie e alla loro prevenzione”.
Ad oggi, tuttavia, ad essere riconosciuto come logorante è solo l’insegnamento degli educatori degli asili nido e dei maestri della scuola del primo ciclo: una differenziazione che non trova invece riscontro nelle patologie da burnout che spopolano in tutte la categoria degli insegnanti, dunque anche nella scuola secondaria.