Il risultato dell’indagine, che si fonda sulle risposte degli stessi docenti a un questionario, conferma la percezione già evidenziata nel passato, proprio nel nostro Paese, di una scuola che non affronta con la necessaria determinazione l’acuto bisogno di cambiamento dell’intero sistema educativo. Questo è, a mio avviso, il messaggio che ci viene consegnato: lo dimostrerò esaminando vari profili e confrontando il dato italiano con la media TALIS. Va qui precisato che la composizione TALIS non è omogenea; e quindi la media che se ne ricava è spesso inferiore a quella, ad esempio, dei Paesi dell’Unione Europea. Ciò nonostante, l’Italia esprime valori inferiori.
In Italia il 78,5 % degli insegnanti è donna (TALIS 68%); l’età media è di circa 49 anni (6 anni in più della media TALIS). Il 79% è in possesso di formazione specifica per l’insegnamento (TALIS 90%). La carenza di formazione iniziale è aggravata, poi, dall’inadeguatezza dell’offerta di formazione in servizio (lo dichiara il 66,6% degli insegnanti italiani, contro il 39% media TALIS).
L’insieme di questi fenomeni non può non pesare sulla funzionalità complessiva del corpo insegnante: dobbiamo questa grave carenza al sostanziale blocco dei nuovi ingressi, a una professione docente congelata, con poco ricambio, senza un’articolata crescita professionale.
Le classi dirigenti italiane con i tagli, le retribuzioni insufficienti e l’insensibilità verso la credibilità sociale della professione docente, portano intera la responsabilità della scarsa attrattività di questa stessa professione. Si noti bene, i continui tagli dei finanziamenti alle scuole per lo sviluppo professionale dei docenti e la diminuzione delle ore di compresenza hanno influito negativamente sulla partecipazione alle attività di formazione: nel 2013 ridotta di 10 punti percentuali rispetto al 2008.
I docenti italiani, che pur esprimono in assoluto (non solo fra i Paesi TALIS, ma anche rispetto alla media europea) il bisogno e la consapevolezza della necessità di una formazione continua, sono penalizzati dagli elevati costi individuali della propria formazione (53% contro media TALIS 43%) e dal fatto che le attività confliggono con l’orario di servizio (59,6% contro il 50,6% della media TALIS).
L’indagine, inoltre, mette a nudo una preoccupante scarsità di innovazione didattica – anche se le nostre esperienze ci dicono di eccellenti esempi, in questo senso, presenti nelle scuole – dovuta alla scarsa familiarità con le pratiche attive d’insegnamento: solo il 32% degli intervistati dichiara di far lavorare gli studenti in piccoli gruppi per concentrarsi su soluzioni comuni dei problemi e dei compiti assegnati (47% media TALIS); solo il 31% utilizza le nuove tecnologie (38% media TALIS). Ma la circostanza più indicativa riguarda l’uso dell’interrogazione: l’80% dei docenti italiani contro il 49% della media TALIS.
Siamo una scuola povera di risorse, che destina pochissimo allo sviluppo professionale docente e alle condizioni strutturali di sostegno all’apprendimento: si prendano, ad esempio:
– la carenza o l’assenza di biblioteche scolastiche (lamentata dal 44% degli insegnanti italiani contro il 29% TALIS);
– la scarsità di materiali didattici e di supporti tecnologici (56% contro 26% media TALIS);
– l’assenza di personale di supporto alla didattica (78% a fronte del 47% della media TALIS).
Continua la rassegna dell’arretratezza italiana: oltre alla rigidità della natura trasmissiva dell’insegnamento, emerge l’eccesso di disciplinarismo: la comunità educante è frammentata a causa del rigido rapporto fra il docente e la propria materia, della mancata flessibilità del curricolo, dall’impero dei libri di testo, mentre ancora risulta scarso l’utilizzo a fini didattici delle nuove tecnologie.
Niente di più scoraggiante di un tale sistema ormai invecchiato.
E tuttavia – difficile a credersi – gli insegnanti tornerebbero a fare questo stesso lavoro: l’86% degli italiani contro il 78% della media TALIS. Anche se, a stragrande maggioranza (88%), i nostri insegnanti si dicono consapevoli che nel nostro paese l’insegnamento non è apprezzato.
La verità è che gli insegnanti amano il proprio mestiere nonostante le condizioni impervie in cui esso viene esercitato.
L’opinione pubblica e la politica prendano atto dell’esistenza di una motivazione così forte, che va sostenuta e sospinta verso il cambiamento.
Come si vede, i diversi dati, se letti in una possibile ottica di sistema, rilevano vari aspetti di un fenomeno comune: l’establishment si ostina a non incoraggiare le potenzialità e le esperienze di innovazione, a non venire incontro ai bisogni culturali giovanili, a consolidare istituti e prassi pedagogiche che appartengono ad un’altra epoca, perseverando nella rassegnazione per questo grande Paese a collocarsi in coda nella comunità internazionale.
Il cambiamento non si può rinviare. Sarà molto utile che sulle colonne di Education 2.0 si sviluppi una discussione, tra studiosi e operatori, su una tematica così rilevante.