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Lucia Sardo parla del figlio hikikomori

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Lucia Sardo, famosa e applaudita attrice di cinema e teatro, nel corso di una intervista a Vita.it racconta l’abisso di disperazione nel quale la famiglia è caduta dopo la scoperta che il figlio  Gioacchino era stato preso da un vortice che nessuno aveva subito compreso.

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Un incubo durato 12 anni – racconta la Sardo – intanto perché nessuno ti dice che tuo figlio è un hikikomori. Io l’ho scoperto cercando disperatamente in rete. Sono uscita dalla solitudine nella quale ero piombata quando ho conosciuto l’associazione “Hikikomori Italia Genitori onlus”. Perché, poi, il problema non è così palese; non è che c’è un figlio che ha una gamba rotta, sei lì a cercare una risposta a quel suo chiudersi sempre di più in sé stesso, a non volere più contatti con nessuno. Allora provi a motivarlo, cerchi di incentivarlo, ma niente, peggiori solamente la situazione. Quando capisci che non funziona ecco che arriva la rabbia, poi quando neanche questa ha efficacia provi con la dolcezza. È un’altalena di emozioni che ti può distruggere. Si potrebbe fare un film. Inoltre, quando tutto comincia non ne hai consapevolezza. Per questo dico che bisogna stimolare le scuole molto prima che i genitori”.

Il primo allarme è venuto dalla scuola, quando la prof ha detto all’attrice che il figlio in classe dormiva sempre e così capì “stava sveglio tutta la notte chattando al computer e parlando con il mondo. Non a caso è diventato uno dei 7 campioni di videogiochi a livello mondiale. Ovviamente, andando a letto alle 7 del mattino, quando lo chiamavo dopo mezz’ora per dirgli che era ora di andare a scuola, non poteva mai essere presente a se stesso”.

Da allora, dice l’attrice, ci fu la percezione esatta di ciò che stava succedendo nel ragazzo: “mangiava pochissimo, dimagrendo a vista d’occhio, poi la tappa successiva, quella del cibo spazzatura che si faceva portare a domicilio. Non si sedeva, però, mai a tavola con me e, se gli chiedevo qualcosa, mi rispondeva malamente. Una situazione nella quale sei da sola anche perché tutti ti rimproverano, dicendoti che devi essere più dura, considerando questi ragazzi solo pigri, svogliati e incapaci di fare qualcosa. Invece, i giovani hikikomori sono molto più sensibili di altri, hanno solo bisogno di essere compresi. Quello che mi scioccava era non trovare vie d’uscita”.

E la situazione diventa ancora più drammatica quando la madre si rende conto che “neanche gli psicologi che lo hanno incontrato sapevano dare le risposte giuste. Per loro Gioacchino stava bene, erano i normali turbamenti di un adolescente”, fino a quando, nonostante la scuola tentasse approcci di varia natura,   si rende conto che il figlio “aveva bisogno semplicemente di una mamma, capace di sostenerlo in tutto e per tutto. Piano piano ha cominciato a uscire dalla sua stanza e ad aprirsi al contatto”.

“Il lockdown ha aiutato tantissimo gli hikikomori perché hanno compreso di non essere gli unici rimasti isolati. Noi abbiamo usato il tempo a nostra disposizione per dedicarci, per esempio, alla cucina. Gioacchino ha anche ideato una trasmissione durante la quale ci divertivamo a preparare piatti che poi, una volta spenti i riflettori, gustavano insieme. È cambiato anche il nostro rapporto perché abbiamo rivisto tutto sotto un’altra dimensione. Oggi ne parlo con gioia, anche se non potrò mai dimenticare quel che ci è accaduto.

Dico ai genitori come me di chiedere aiuto, così come è importante che la scuola cominci a studiare perché non sono malati i ragazzi, malata è la società. Loro ci stanno dando segnali immensi che dobbiamo accogliere. Per me è una liberazione raccontare oggi la nostra storia perché anche io sono uscita da quella stanza oscura. La mia vita ora risplende anche della luce che emana mio figlio”.