Si acuisce lo scontro Regioni-Governo sul dimensionamento della rete scolastica previsto dalla Legge di Bilancio 2023: diversi governatori hanno preso posizione contro un Piano che tende ad accorpare le scuole, secondo una mera logica numerica sulla quale pesa negativamente il decremento demografico e quindi il calo di iscritti (con le pluriclassi sempre più frequenti nei piccoli Comuni).
Il decremento di nascite e i numeri da rispettare
L’entrata a regime del dimensionamento combacia, infatti, col più grande calo di iscritti da quando esiste la scuola pubblica (ormai si “viaggia” alla media di oltre 100 mila iscritti in meno l’anno).
Alle regioni spetterà, annualmente, l’ingrato compito di attenersi al numero di scuole che deriveranno dal numero ufficiale di iscritti e la media di 900 alunni per istituzione scolastica.
Il concetto numerico è semplice: qualora dovesse essere necessario tenere aperta una scuola autonoma con soli 300 alunni, allora la Regione dovrà compensare la deroga andando a creare un’altra scuola con 1.500 iscritti.
La richiesta arriva dall’Unione europea?
Ad imporre la media, senza eccezione, sembra che sia stata l’Unione europea. E la condizione sarebbe stata anche inclusa tra i diversi parametri da centrare obbligatoriamente per garantire all’Italia l’assegnazione degli ingenti fondi del Pnrr collegati alla scuola.
Il problema è che molte Regioni non ci stanno. Anche perché il nuovo assetto scolastico che deriverà dal dimensionamento non avrebbe considerato il parere della Conferenza Stato-Regioni.
In poche settimane, già quattro territori regionali hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale contro il provvedimento del Governo che accorpa le loro scuole non tenendo conto delle particolarità del territorio: a rivolgersi alla Consulta sono state Campania, Toscana , Puglia ed Emilia Romagna.
L’ira della Sardegna: noi ridotti a meri esecutori
Anche la Sardegna è uscita allo scoperto: “Se passa il decreto sul dimensionamento scolastico dovranno commissariarmi”, ha tuonato il 23 maggio l’assessore all’Istruzione della Regione Sardegna, Andrea Biancareddu.
Le parole di fuoco sono state pronunciate durante una videoconferenza con il ministro Giuseppe Valditara e i colleghi delle altre regioni, durante i quali ha spiegato i motivi del ‘no’ alla norma da parte delle Giunta di cui fa parte.
Secondo l’assessore all’Istruzione della Sardegna parliamo di “una legge di stampo fortemente centralista dove la Regione è chiamata ad applicare dati meramente algebrici ed è relegata a mera esecutrice di queste norme”: questo, ha aggiunto, “ci penalizza in quanto è basato esclusivamente su dati numerici algebrici. Non si può fare la riforma della scuola contando solo la popolazione e gli alunni”.
Biancareddu ha chiesto al ministro l’adozione di un modello di organizzazione scolastica che tenesse conto “della morfologia della Sardegna, delle difficoltà di collegamento, del tasso di dispersione scolastica e dalle prove Invalsi”.
Secondo l’assessore all’Istruzione “ci sarebbero anche gli estremi per impugnare il decreto: si parla infatti di fattori perequativi come la densità demografica, i collegamenti, la presenza di piccole isole di minoranze linguistiche”. Tutti aspetti che, secondo l’assessore, avrebbero dovuto permettere alla Sardegna di ottenere una deroga alla norma.
Già oggi ci sono, ha ricordato, scuole autonome “con 23-25 Comuni che arriverebbero a 40: per visitarli tutti, il dirigente scolastico incaricato dovrebbe fare il Tour de France. Se le cose rimangono tali, non sono in condizione di applicare questa norma così come”, ha sottolineato Biancareddu. Per concludere con un appello: arrivare ad “una soluzione decente che tuteli il diritto allo studio dei ragazzi sardi e che tenga conto della nostra insularità e delle nostre peculiarità”.