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Dispersione scolastica, ad individuare gli alunni “fragili” è Invalsi: non dovrebbero farlo i docenti? – Scienze per la Scuola

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Nuovo appuntamento con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di alunni “fragili”.

Chi decide quali sono gli alunni a rischio dispersione e quindi, ad esempio, destinatari dei percorsi formativi PNRR messi in campo dalle scuole? Chi decide chi è “fragile” negli apprendimenti e chi no? I docenti, si dirà. Sono loro che conoscono bene ragazzi e ragazze in difficoltà. Eppure, le cose non sembrano stare del tutto così.

L’Invalsi ha inviato alle scuole, attraverso codici, gli elenchi degli alunni “fragili”, cioè in potenziale dispersione implicita. Si tratta quindi di allievi che, pur non in dispersione conclamata, comunque non raggiungono i livelli di competenza adeguati, attestandosi sui livelli 1 e 2 nell’ultima rilevazione nazionale disponibile.

Si apre qui un grosso dilemma per le scuole: esse devono obbligatoriamente utilizzare in prima istanza la lista Invalsi nella definizione degli alunni destinatari dei percorsi PNRR o possono decidere (attraverso il Collegio) di limitarsi a tenere presente quella lista, come possibile supporto complementare alle loro specifiche valutazioni, sulle quali puntare maggiormente?

Di sicuro, è la scuola che conosce bene i propri alunni, non certo l’Invalsi, come riconosce lo stesso presidente dell’Istituto, Roberto Ricci: …credo che sia fondamentale che a questi dati, comparabili e con una certa loro robustezza, la scuola vada ad aggiungere le proprie informazioni costituite dalla conoscenza diretta dei ragazzi…”.

Il termine comparabili è forse il vero argomento principe che ha in mano l’Invalsi per legittimare questo “allargamento” del suo campo di azione: i dati matematici ricavati dall’Istituto sono infatti comparabili con quelli ricavati dagli analoghi istituti negli altri Paesi e, trattandosi di fondi europei, questo elemento sembra giocare un ruolo importante.

Si tratta però di capire cosa si intende qui con la frase “che la scuola vada ad aggiungere le proprie informazioni”. Essa sembrerebbe infatti prefigurare qualcosa di simile a questo sotteso assunto: potete liberamente aggiungere, ma non dovreste togliere alunni (o troppi alunni) da quella lista.

Si dirà: la definizione delle scuole beneficiarie dei fondi PNRR sulla dispersione è stata effettuata in buona parte sugli indicatori dell’Invalsi e sui risultati delle rilevazioni nazionali degli allievi. Niente di strano che si continui anche con l’individuazione dei singoli alunni.

E invece qualcosa di strano c’è: le scuole vengono individuate sulla base di dati comunque complessivi. La questione qui riguarda invece la natura sostanzialmente individuale e predittiva che assumono queste segnalazioni Invalsi, secondo cui, il singolo allievo che, poniamo, è andato male alle rilevazioni di quinta primaria, dovrebbe presumibilmente essere fragile sul piano degli apprendimenti nella scuola secondaria di primo grado e quindi va inserito nella lista e deve essere destinatario privilegiato degli interventi PNRR.

Ora, questa idea, che si inserisce magari all’interno di un approccio precauzionale, mal si concilia con la natura ineludibilmente dinamica e ampia della maturazione dell’allievo. Il quale, a distanza di tanto tempo, può presentare un quadro degli apprendimenti totalmente diverso rispetto a quanto emerso nelle rilevazioni nazionali in un dato momento.

Non a caso, nelle liste inviate alle scuole, il problema è puntualmente emerso: diversi ragazzi in esse inseriti (livelli 1 e 2, quindi da considerare “fragili”) appaiono oggi, a distanza di uno, due o più anni dagli ultimi rilevamenti, tutt’altro che incompetenti rispetto ai compagni e in diversi casi risultano perfino fra i primi della classe. Così come s’è verificato il caso opposto, di allievi effettivamente fragili non menzionati nella lista Invalsi.

Il punto è che le prove standardizzate nazionali funzionano sui grandi numeri, quando registrano situazioni e trend determinati dal monitoraggio di tantissimi alunni in tantissime scuole e per diversi anni. Molto meno efficaci (e attendibili) sembrano rivelarsi nel dare conto della situazione effettiva e, ancor meno, del percorso dei singoli alunni. Il che non stupisce più di tanto, in quanto perde peso così l’aspetto statistico effettivo delle prove (loro punto di forza) e assume invece un peso maggiore (e forse indebito) il ben più pretenzioso aspetto predittivo sulla traiettoria formativa del Mario Rossi di turno.

I dati Invalsi possono essere utili se mantengono una loro funzione di puro supporto al lavoro dei docenti e delle scuole (anche offrendo elementi per l’individuazione precoce degli studenti a rischio dispersione, come l’Istituto rivendica), non se si sostituiscono a quel lavoro, occupando progressivamente spazi (o concorrendo su spazi) che attengono alla sfera valutativa (e progettuale) degli insegnanti.

Il presente articolo fa parte della rubrica Scienze per la Scuola, curata da Giovanni Morello. Vedi anche gli altri articoli pubblicati:

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