E’ l’ennesimo termine anglosassone di origine aziendale che si sta radicando sempre di più nelle scuole italiane. Dopo il peer to peer, la flipped classroom, il cooperative learning e chi più ne ha più ne metta, è arrivato – da qualche tempo – il team building. Se ne parla molto ultimamente e, nello specifico, è stato citato dall’ormai noto professore Schettini, divulgatore della fisica che piace ai ragazzi. In un nostro articolo di qualche settimana fa che riprendeva una sua intervista al quotidiano La Stampa, il docente youtuber, parlando a nome di tutti i colleghi, così, idealmente, si rivolgeva ai dirigenti: fateci fare corsi di teatro, di canto, di recitazione, fateci liberare quell’energia. Il team building va fatto a scuola.
Ma di cosa parliamo? Il team building nasce sulla scia degli studi condotti tra gli anni Sessanta e Settanta dallo psicologo americano Bruce Truckman ed è una tecnica solitamente applicata in abito aziendale per ottenere una miglior coesione e maggior collaborazione fra i dipendenti, creando un senso di appartenenza a un gruppo di lavoro attraverso l’acquisizione dell’idea che si lavora meglio e si raggiungono gli obiettivi soltanto se si opera in un contesto relazionale piacevole e rilassato, privo di conflittualità.
Come si pratica concretamente a scuola? A chi dev’essere rivolto? Ai docenti, agli studenti, a entrambi al tempo stesso?
Lo abbiamo chiesto a un’esperta, la dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo Galilei di Acireale, in provincia di Catania, che da qualche anno pratica il team building a beneficio dei suoi alunni.
Psicologa di formazione, la preside del Galilei ha iniziato già da qualche anno a diffondere il team building nelle scuole di cui è stata dirigente. Ad Acireale, l‘anno scorso, è stata coinvolta una prima classe della secondaria.
“La prima media – ci dice la dirigente scolastica – è una classe cerniera fondamentale. Il passaggio dalla primaria alla secondaria, lo sviluppo corporeo, la nascita dei primi confusi sentimenti, sono tutti fattori della crescita che possono produrre stress, aumento delle situazioni conflittuali con i compagni e con i docenti. La scuola deve, dunque, essere in grado di gestire queste fasi, prevenendo la nascita di conflitti.”
Come si sviluppa concretamente il percorso formativo?
“ Il progetto si rivolge a un’intera classe ed è condotto da una psicologa in collaborazione con il coordinatore della classe che partecipa alle sedute.”
Che obiettivo si propone?
“Il raggiungimento della coesione del gruppo. Attenzione, un gruppo-classe coeso non significa che si diventi tutti amici, ma che tutti quanti comprendano e condividano – allo scopo di superarle – le problematiche interne al gruppo, non solo quelle di natura didattica.”
Il team building potrebbe essere pensato anche per i docenti?
“Certo, magari potessimo. Ma per predisporre pacchetti formativi a più ampio raggio rivolto ai docenti occorrerebbe risorse economiche che non abbiamo.”
I giochi di ruolo che costituiscono l’ossatura del team building sono numerosi e di varia natura, ciascuno ha un obiettivo specifico: affinare le capacità comunicative e di ascolto, aumentare la capacità di inquadrare i problemi e di cooperare per trovare una soluzione, stabilire regole di condotta condivise e vincolanti per il gruppo e tanti altri ancora.
Una pratica, dunque, da consigliare a partire dalla scuola primaria, passando per la secondaria di primo grado ma anche per gli adolescenti del primo biennio del secondo grado, laddove i conflitti tendono a inasprirsi e a trasformarsi, talvolta, in veri atti di violenza.