“E’ come se avessero messo insieme le chiacchiere del bar e le avessero trasformate in articoli di legge, è una cosa molto triste: stiamo dando ai ragazzi uno spettacolo di insussistenza, incapacità a rispondere adeguatamente. Diamo solo risposte simmetriche: i ragazzi si arrabbiano con noi e noi ci arrabbiamo con loro; loro sono cattivi con noi e noi siamo cattivi con loro: questo conferma nei ragazzi la sfiducia nei confronti degli adulti”. Cesare Moreno, maestro elementare e presidente dell’associazione Maestri di Strada onlus da anni impegnato con i giovani delle periferie di Napoli, è severo nel giudicare le misure approvata il 7 settembre dal governo, attraverso un decreto ad hoc, per contrastare la crescente violenza di cui si rendono protagonisti i giovani.
“Noto che c’è più preoccupazione della propria immagine, del proprio ruolo che non una analisi del problema – ha detto Moreno all’agenzia Ansa – Punisco perché devo difendere la mia immagine”.
Occorre invece, ad esempio, fare in modo che “gli insegnanti rimangano nelle scuole difficili, non vadano via dopo un anno” e che gli stessi docenti abbiano una preparazione specifica.
Secondo il maestro di strada, “abbiamo insegnanti bravi ma non sanno nulla del funzionamento psichico dei ragazzi, questo non si risolve chiamando lo psicologo. I ragazzi sono una ‘macchina’ complessa che va riparata mentre è in funzione, non si può ‘aggiustare’ e mandarla a scuola, il percorso va fatto mentre sono a scuola”.
I giovani “devono essere coinvolti in una relazione: la scuola non è solo un luogo dove si apprendono le materie scolastiche, ma è anche il luogo dove si apprende la solidarietà, il rispetto dell’altro“.
Il problema, sostiene Moreno, è che se si vive “in un continuo stato di tensione, con la paura dell’altro, la rabbia si accumula e quando esplode accadono tragedie come in piazza Municipio, dunque occorre avere spazi per raffreddare la rabbia, per insegnare a controllare questa rabbia esagerata. La violenza è connaturata con l’uomo ma si può imparare a essere pacifici, ad esempio usando la parola. Molti di questi ragazzi non sanno dominare le proprie emozioni, allora dobbiamo parlare, dialogare”.
Tanto giovani, in media il 13% del totale, reputa la scuola come un luogo “ostile”. E la lascia anzitempo. Per Moreno, però, la dispersione scolastica viene “letta” come un fenomeno marginale: “Ci sono genitori sciagurati certo, ma stanno in galera per altre ragioni“.
Nei quartieri difficili, “i ragazzi vogliono andare a scuola e i genitori vogliono mandarli a scuola, magari perché così evitano che l’assistenza sociale entri in casa” scoprendo affari illegali.
Ma il vero dramma, sempre secondo il maestro campano, è rappresentato dai Neet, i giovani in età universitaria che non studiano e non lavorano: “Nel mio quartiere sono il 42 per cento, uno su due non studia, non fa formazione, non lavora: con chi ce la prendiamo?”.
Il giudizio passa poi sugli assistenti sociali. “Chi parla del servizio sociale su scala nazionale sa che questo non è specializzato? La mattina l’assistente si può occupare dell’orfano, del disperso scolastico, del tossico… occorre al contrario un assistente dedicato e che faccia pronto intervento”.
Anche sull’innalzamento dei casi di stupro, Moreno sembra avere la risposta giusta: “Siamo una società maschilista – sostiene il maestro -, chi violenta le ragazze lo fa perché è immerso in una cultura in cui le donne sono inferiori. E nelle scuole non trova una educazione di genere”.