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Dispersione scolastica, una malattia, un cancro che minaccia lo sviluppo ma anche la stabilità di una società

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Si sa da tempo, la dispersione scolastica è una malattia, un cancro che minaccia lo sviluppo ma anche la stabilità di una società. Una piaga antica che ha molte cause e radici profonde individuabili in tutti gli ambiti della comunità.

Allora ogni parte, ogni elemento della collettività deve impegnarsi per debellarla. E deve farlo con forza e rapidità, perché il futuro non sia un futuro segnato dalla violenza e dall’ignoranza.

Anche la scuola, certo, specialmente la scuola è tenuta ad essere in prima linea in questa fondamentale sfida e da sempre non si mai tirata indietro per ridurre l’ignoranza e la maleducazione e far capire alle famiglie (non sempre sensibili sotto questo aspetto) e ai ragazzi l’importanza del frequentare attivamente le lezioni scolastiche. E’ sempre stata, com’è suo dovere, la porta bandiera di questa battaglia, ottenendo, nel tempo (partiamo dal dopoguerra) risultati più che soddisfacenti.

Certo una percentuale ancora sensibile di ‘dispersione’ è rimasta e l’Europa (l’Unione Europea), con meticolosità (ma non il nostro bene, ovviamente), non ha perso occasione e perde occasione di ricordarcelo, anche con toni di aspro rimprovero.

Eppure il nostro Paese ha messo in campo molte energie e non poche azioni legislative per vincere n tale pericoloso male.

Non sempre, però, le iniziative intraprese, seppure lodevoli, hanno dato i frutti sperati, visto che ancora oggi l’Europa sottolinea negativamente il nostro tasso di dispersione scolastica, soprattutto se confrontato (dicono loro) a quello degli altri Paesi europei (sarà poi vero?).

Per rispondere alle richieste (o comandi) della Commissione Europea, anni fa si pensò di intervenire in questo modo: bocciare automaticamente chi avesse fatto un certo numero di assenze non giustificate. Chi poi aveva sempre frequentato era spesso premiato, decisione sostanzialmente accettabile, con un alto voto di condotta, voto che faceva (e fa) media nella valutazione finale.

Iniziativa lodevole, ma risultati magri. Infatti chi voleva saltare un anno di scuola (parliamo di scuola secondaria, anche oltre l’obbligo scolastico/formativo), complici anche i genitori spesso poco attenti ai loro figli   se ne stava tranquillamente a casa (o fuori casa) senza essere troppo ‘infastidito’ dalla autorità competenti, che, in realtà, non potevano fare più di tanto.

Se poi un moto di resipiscenza li convinceva a tentare di non perdere l’anno, bastava un tardivo (le lentezze burocratiche) ma efficace certificato medico di qualche comprensivo dottore (pronto ad individuare nel ragazzo patologie non visibili a semplici profani). E il gioco era fatto. Si rientrava in partita e magari, con qualche recupero organizzato dalla scuola, si otteneva una promozione spesso non meritata.

E’ ovvio poi, non vale neanche la pena di ricordarlo, che molte prolungate assenze erano pienamente giustificate,  dovute a gravi problemi di salute  da parte dell’allievo.

Lodevole iniziativa quindi. Non sufficiente però per calmare i continui richiami delle solerti Autorità Europee.

Ecco allora l’ultima invenzione, un guizzo di genio ( e materiale recentissimo )

Un decreto (o un decretino) rivolto ad affrontare il disagio minorile, la povertà  educativa la criminalità giovanile.

Sembra che tra gli articoli del teto si parli anche di togliere la potestà genitoriale ai genitori che non mandano i figli a scuola o addirittura di condannarli a due anni d carcere.

Si è passati da una ammenda, per i genitori inadempienti a tale inderogabile dovere, di trenta euro al carcere.

Francamente ci sembra eccessivo. Si rischia, strappando i figli ai loro genitori (seppure spesso ‘poco genitori’) o addirittura di chiudere quest’ultimi per due anni in un carcere  (saranno arresti domiciliari?) di creare maggior disagio ai genitori e soprattutto ai figli che, per un certo periodo, diventerebbero quasi degli ‘orfani’, affidati ai sempre numericamente limitati servizi sociali o rinchiusi in qualche comunità educativa. Comunità gestite da persone di cuore, certo, ma poche volte adeguatamente finanziate per far fronte alle richieste e ai problemi dei ragazzi.

E poi, vogliamo mettere altre persone in carceri sovraffollati. Qualcuno si è ricordato del problema non da poco delle carceri?

Speriamo proprio che, nel corso dell’ “iter’ parlamentare, il buon senso prevalga e che si faccia maggior leva sull’aspetto preventivo e persuasivo e, solo come ‘extrema ratio’, sulle maniere forti e dure. Se poi questo ‘discutibile’ articolo (un eccesso di zelo?) venisse abrogato, si darebbe un segnale di saggezza (vana illusione?).

L’importante è non interpretare la funzione propositiva come un modo per farsi propaganda, in un Paese, il nostro, sempre chiamato, giustamente e democraticamente, alle urne. Questo non sarebbe etico.

Vedremo, sempre speranzosi che il Parlamento sappia migliorare ciò che gli viene presentato e non prendendo in minima considerazione la possibilità di peggiori decisioni (sappiamo però che tutto è possibile, nel bene o nel male).

O no?

Ceriani Andrea