Insegno Italiano e Latino in un Liceo. Da ottobre a maggio ho perciò infiniti pacchi di compiti da correggere, oltre a riunioni pomeridiane e lezioni da preparare. Ritengo che il mio stipendio sia da me veramente ben guadagnato, e che sia indecorosamente basso in considerazione del mio ruolo e delle mie responsabilità.
In questo periodo gli attacchi ai docenti sono continui e concentrici, e vedono tutta l’opinione pubblica concordemente “contro”, mentre gli interventi in difesa vengono solo dai docenti stessi e dai loro parenti; anch’io condivido il disappunto di chi nota che solo noi docenti italiani dobbiamo dimostrare al mondo CHE lavoriamo e QUANTO lavoriamo. Alcuni colleghi giustamente stigmatizzano il generale smarrimento di una società in cui i figli conoscono solo diritti e sono sempre difesi dai genitori e crescono pensando che sia meglio (e possibile) evitare ogni fatica, anche nell’apprendere. Altri colleghi invece si affannano a “dimostrare”, con abbondanza di tabelle, calcoli ed esemplificazioni, che il lavoro docente si prolunga ben oltre l’orario di cattedra. Anche questo è vero, ma di fronte al quasi unanime attacco al corpo docente, mi stupisce che nessuno dei colleghi aggiunga qualche parvenza non dico di autocritica ma almeno di analisi spassionata della situazione per capire da dove possa derivare tanto livore.
Premetto che personalmente sento di essere privilegiata, nella mia professione, perché posso fare un lavoro che mi piace molto, quello che ho sempre sognato e per il quale ho studiato; perché lo posso fare in una scuola bella e piena di ragazzi sempre corretti e in genere anche ben disposti verso lo studio. A parte questo, però, credo ci siano nella mia professione oggettivi motivi di “privilegio” rispetto non a tutte, ma a molte altre professioni.
- Si tratta di un lavoro libero e creativo
- Si tratta di un lavoro che mette a contatto con i giovani, che aiutano a mantenere giovani gli interessi e lo sguardo sul mondo. Questo comporta anche tensione emotiva e responsabilità, ma non più – secondo me – di molte altre professioni. Nelle 18 ore di docenza non posso neppure andare al gabinetto o prendere un caffè, ma lo stesso capita a molti altri, dall’autista degli autobus al chirurgo, per dire i primi che mi vengono in mente
- L’orario di lavoro è caratterizzato da una parte significativa “flessibile” (perché scelgo io quando stare al computer o correggere..) e “domestica” (perché non devo uscire di casa per farlo)
- Ci sono molti più giorni liberi di quelli che hanno la maggior parte degli altri lavoratori. I colleghi dicono che non esistono più “i 3 mesi di vacanza” estiva perché siamo in servizio fino al 30 giugno e poi dall’1 settembre; però un conto è andare a lavorare tutti i giorni per 7-8 ore, un conto è avere alcuni impegni (dopo la chiusura delle scuole, o prima dell’apertura, è ben difficile che ci siano tutti i giorni) per alcune ore della giornata (2-3, anche 5, ma eccezionalmente).
Gli Esami di Stato si prolungano a volte, è vero, fino a metà luglio: però 1) non tutti i colleghi sono in essi coinvolti; 2) non tutti gli anni siamo in essi coinvolti: 3) sono pagati con un compenso aggiuntivo (umiliante!); 4) non impegnano in modo continuativo tutti i giorni del calendario e talvolta l’impegno richiesto è di 3-4 ore (riunione iniziale, assistenza agli scritti..).
Bisogna aggiungere che, almeno nella mia scuola, l’assenza ad una riunione pomeridiana, giustificata con pezze d’appoggio (visite mediche, motivi di famiglia..) non comporta penalizzazioni per il lavoratore.
Per rispondere con una “tabella”, che riguarda naturalmente la realtà a me nota delle scuole superiori, nella mia scuola ci sono quest’anno 205 giorni di lezione (-1 a causa della chiusura per neve: se fossi stata infermiera, sarei potuta restare a casa?) (-3 circa di assemblee studentesche) = 201 [in questi ci sono naturalmente i “giorni liberi” dalla docenza e quindi dalla presenza a scuola (a parte le riunioni nel giorno libero!)] + 5 giorni per gli scrutini di fine anno (calcolando un giorno lavorativo di 8 ore, ci stanno dentro anche i colleghi che hanno molte classi; chi ne ha meno, lavora anche meno di 5 giorni) + 15 giorni di Esami di Stato (con tutte le riserve già espresse: mi sembra di aver arrotondato per eccesso) + 4 giorni di Esami e scrutini a fine agosto-settembre (calcolando un giorno lavorativo di 8 ore; non tutti tra l’altro sono coinvolti allo stesso modo) + 5 giorni di riunioni a settembre (come sopra) = 230 giorni di lavoro e quindi 135 giorni di “non-lavoro”, in cui le domeniche e le feste ufficialmente riconosciute pesano per circa 60 giorni…
Per quanto riguarda l’orario settimanale durante l’anno scolastico, è vero che io passo ore ed ore a correggere, dopo le 18 ore in classe. Però: 1) non tutte le materie richiedono lo stesso tipo di impegno continuativo richiesto dalle mie; 2) io vedo bene che per correggere un compito di Italiano di Quinta impiego almeno il triplo del tempo che occorre per correggere un compito di Italiano di Prima; e che per correggere un compito di Latino impiego molto meno tempo che per correggere un compito di Italiano. Inoltre un conto è riscrivere tutte le parti scritte male dello studente e tutte le parti lacunose e superficiali, affinché egli veda la differenza e impari, un conto è segnalare l’errore con qualche linea e segno convenzionale.
Così come, nel preparare le lezioni, un conto è creare nuovi percorsi e quindi nuove prove, un conto è ripetersi (più o meno: ci adattiamo alla classe, è vero, ma entro certi limiti dati da contenuti e obiettivi..) ed attingere dai propri precedenti archivi. In genere nessuno mi controlla in queste scelte. Questa “soggettività” delle scelte dei docenti e l’oggettiva invece variabilità dei tempi richiesti dalle singole operazioni sono spesso rimproverate dall’opinione pubblica e sono ciò che rende sospette le tabelle degli impegni (comprese le letture di aggiornamento, che tra l’altro sono doverose in molte altre professioni..!) puntigliosamente compilate dai colleghi per difendersi dalle accuse.
Prima di entrare nella scuola, ho lavorato per anni prima in un ufficio (orario unico, 36 ore settimanali) e poi in una professione con “turno in terza” (pomeriggio.mattino.notte) e “ferie turnificate”, con il terrore di rimanere lì bloccata per tutta la vita se non fossi riuscita a vincere un concorso da insegnante.
Insomma, non sono uscita dai banchi per rientrare nella cattedra. Il presidente Mao non aveva tutti i torti quando obbligava tutti gli intellettuali a periodici (che poi non equivalgono certo al “per sempre e sempre”) impegni professionali nelle campagne o alla catena di montaggio! Vedi anche “Lettera ad una professoressa”, pure così cara a tanti colleghi, che ne hanno evidentemente lette solo alcune parti..! io sospetto che l’opinione pubblica ci rimproveri soprattutto proprio l’autoreferenzialità. Personalmente non vedo come sia possibile superarla. Non mi scandalizza perciò lo “scandalo” che la nostra professione suscita: o per lo meno mi sembra di comprenderne le origini, e a partire da questo bisognerebbe forse discuterne.
Lettera firmata