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Baby gang, è sufficiente reprimerle? O è meglio credere nella scuola e finanziarla più di ponti sugli stretti e guerre?

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I dati sulla devianza minorile in Italia sono allarmanti. Le notizie sulla violenza delle cosiddette “baby gang” preoccupano sempre più l’opinione pubblica ed aumentano il senso di insicurezza di giovani e adulti, specialmente nelle grandi aree metropolitane. Il ministero della giustizia ha pubblicato un’analisi statistica sui “Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi minorili”, aggiornata al 15 gennaio 2023 e comprendente i dati su individui tra i 14 e i 25 anni: in totale 14.016 tra ragazzi e ragazze (trend in aumento progressivo dal 2007), 12.704 dei quali di genere maschile. Tra tutti questi giovanissimi, alla prima presa in carico solo 3.594 sono maggiorenni. Tra i minorenni il gruppo più cospicuo (3.625 ragazzi) ha invece 16 anni di età; i minori di 14 anni sono 110.

Delitti di ogni tipo (commessi nella stragrande maggioranza da italiani)

Gli stranieri sono 3.149; 10.867 gli italiani. Tra gli stranieri, il gruppo numericamente maggioritario proviene dal continente africano (soprattutto Marocco, Tunisia ed Egitto), ma anche da altri Paesi UE (in particolare Romania), nonché dai Balcani.

I reati commessi sono soprattutto quelli contro il patrimonio: in ordine di frequenza furti, rapine, danni, ricettazione, estorsione, truffa. Seguono i delitti contro la persona: lesioni personali volontarie, minacce, violenze sessuali, violenza privata, atti persecutori e stalking, percosse, sfruttamento della pornografia minorile, fino all’omicidio volontario tentato o consumato. Non mancano i reati contro l’incolumità pubblica (stupefacenti e incendi) e contro le istituzioni (violenza e resistenza a pubblici ufficiali).

Mine vaganti

Come può un minorenne giungere a tanto? Come esplode la tendenza di alcuni giovanissimi alla violenza?

La carica esplosiva è l’emarginazione sociale; il detonatore è il disagio adolescenziale, oggi più vivo che mai. Tra i 13 e i 19 anni l’individuo sviluppa la propria identità, decidendo cosa diventare, quali valori scegliere, quali modelli imitare. Se il vissuto del ragazzo è pieno di rabbia, il suo comportamento può a quel punto manifestare ribellione e trasgressività, quasi a saggiare i propri limiti e le proprie potenzialità. Comportamento che si può però anche leggere come richiesta di aiuto: il giovane ha bisogno di modelli autorevoli, di adulti psicologicamente, culturalmente ed eticamente sani, il cui compito è la sua educazione. Essi devono indicargli gli argini di carattere etico e culturale entro i quali incanalare se stesso, la propria aggressività, le proprie potenzialità, la propria creatività e intelligenza. Ciò deve avvenire prima che la tendenza ad esser violento si cronicizzi nel carattere del giovane fino a diventare strutturale.

Dove sono gli adulti degni di esser presi a modello?

Il problema però è proprio questo: quante sono, nella società italiana di oggi, le figure educative preparate a questo scopo? Esiste una visione del mondo condivisa (dagli adulti) che sia scevra da tutto ciò che condiziona negativamente molti giovanissimi, indirizzandoli verso consumismo, cultura dell’apparenza, culto della forza e della violenza, competitività fine a se stessa?

Se la normalità sembra consistere nell’essere integrati socialmente solo in quanto violenti e vincenti, l’adolescente può dedurne una ridefinizione del confine tra patologia e normalità, fino a considerare conforme alla propria integrazione il comportamento deviante e violento.

Pedagogia sociale dissonante

A tutto ciò contribuisce il bombardamento mediatico cui gli adolescenti sono sovraesposti fin dalla culla. Infatti, i media frequentati dall’adolescente contraddicono e ridicolizzano tutto quanto viene insegnato a scuola: insegnato per di più da docenti con retribuzioni mortificanti, maltrattati dall’informazione, da alcuni dirigenti, dai contratti, dalle normative, dai genitori e persino dagli studenti stessi.

Gli adolescenti più “arrabbiati”, che già si sentono emarginati perché esclusi dai benefici, dalle garanzie, dalla ricchezza, dalla possibilità di decidere per se stessi e per gli altri, non possono considerare credibili figure di adulti che essi reputino perdenti più ancora di loro.

Le “baby gang” dei figli di gente “perbene”

Bisogna tuttavia anche ricordare che alle baby gang partecipano pure ragazzi della “buona borghesia” cittadina: il che dimostra appunto che il problema sono i modelli di adulti (genitori compresi) che i giovanissimi trovano a disposizione, e che essi non riescono a prendere in considerazione come punti di riferimento. Questi adolescenti, infatti, hanno in realtà un’identità particolarmente fragile, e ne cercano una più forte nella gratificazione conferita loro dall’adesione al branco violento.

Occorre pertanto che noi adulti ci interroghiamo sulla società che stiamo lasciando ai nostri figli e nipoti; sui modelli in cui abbiamo creduto (o meglio, cui ci siamo affidati senza nemmeno porci domande su che modelli fossero); sull’abbandono di ogni utopia da noi praticato; sul nostro esser vissuti per decenni nel consumismo più sfrenato e spregiudicato, senza più nemmeno chiederci quanto fossero abissali le idiozie propalate da canali (canili?) televisivi, siti web e social media indegni dell’umana intelligenza.

Se la nave affonda non basta annaspare

La repressione pura e semplice non può bastare; allo stesso modo in cui non sarebbe bastato, all’equipaggio del Titanic sventrato dall’iceberg, tappare lo squarcio con le mani per impedire all’oceano di inondare lo scafo dell’“inaffondabile” transatlantico. Urge qualcosa di più e di meglio: per esempio, mettere la Scuola tra i primi destinatari della spesa pubblica. Più ancora — quantomeno — dei ponti sugli stretti, delle trivelle petrolifere e delle guerre.