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Legge di bilancio 2024, sulle pensioni dei docenti arrivano norme penalizzanti: la riforma Fornero regna sovrana, sciopero inevitabile

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Sono in tanti a lamentarsi sui provvedimenti disposti dalla prossima Legge di bilancio in tema di pensioni. Mentre c’era chi propagandava il superamento della legge Fornero con Quota 41, arrivano davvero cattive notizie su questo fronte, anzi possiamo certamente affermare che, come abbiamo già avuto modo di scrivere, la riforma Fornero sulle pensioni “regna sovrana”.

Petizione per abolizione norma penalizzante

Con il passare dei giorni aumenta il malcontento: ieri, 5 novembre, è stata lanciata una petizione on line da parte di un lavoratore (con centinaia di adesioni in poche ore) per l’abrogazione del comma 1 dell’art.33 della prossima manovra.

In particolare, nella richiesta si ricorda che “Il comma 1 dell’art 33 della Legge di Bilancio 2024 ha stabilito che le aliquote pensionistiche dei dipendenti degli Enti Locali, Sanitari e degli Insegnanti, liquidate dal 1° Gennaio 2024, saranno calcolate con aliquote più basse. Questo provvedimento comporta una perdita netta della pensione annuale dal 5% al 25% per coloro che prima del 1996 hanno meno di quindici anni di servizio. Questa misura colpisce duramente i lavoratori che hanno dedicato la loro vita al servizio pubblico e alla formazione delle future generazioni. Chiediamo quindi al Parlamento Italiano, unico soggetto con potere legislativo nel nostro Paese, di annullare questa legge ingiusta e penalizzante per i lavoratori del settore pubblico. Firma la petizione per sostenere questa causa importante”.

Per la verità questa norma, che sicuramente è molto penalizzante, non riguarda tutta la categoria degli insegnanti, ma solo alcune categorie di lavoratori che vantano in particolare un’anzianità contributiva pre-1996 (quindi retributiva) inferiore a 15 anni: così riporta la bozza del DDL 926 presentata il 30 ottobre scorso, riguardante alcune frange di lavoratori tra cui quelli iscritti alla Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (CPI). La Cgil ed altri sindacati hanno calcolato che questi dipendenti in media perderanno, per l’intera durata della pensione, diverse migliaia di euro.

Quello che colpisce è il principio utilizzato in questo disegno di legge, ovvero quello di toccare un “diritto acquisito” senza pensare alle gravi conseguenze che potrebbe generare.

Quota 103 peggiorativa rispetto l’anno passato

Il tema delle pensioni che coinvolge anche il personale scolastico e l’aspetto peggiorativo della Quota 103 prevista dalla Legge di bilancio 2024, sono tra i motivi principali della mobilitazione che Cgil e Uil hanno messo in campo attraverso la proclamazione di scioperi generali territoriali. Ed è anche una delle motivazioni dello sciopero generale di Scuola, Università, Ricerca e Afam del 17 novembre prossimo organizzato dai sindacati guidati da Landini e Bombardieri.

Sul nodo delle pensioni, anche la CISL, capitanata da Sbarra, potrebbe aderire alla mobilitazione, ma senza arrivare a condividere lo sciopero.

Sempre sulle novità per i pensionamenti dal 2024, la Legge di bilancio su Quota 103 conferma i requisiti anagrafici e contributivi, ma il trattamento pensionistico è determinato secondo le regole di calcolo del sistema contributivo e in misura non superiore a 4 volte l’assegno minimo.

Aumenta la finestra di uscita da 3 a 7 mesi per i settori privati, da 6 a 9 per i pubblici. In buona sostanza chi si trova in un sistema di calcolo pensionistico misto, ovvero retributivo per gli anni prima del 1996 e contributivo dal 1996 ad oggi, si vedrà ricalcolata la pensione con il meccanismo penalizzante di tipo contributivo.

Ape social e opzione donna

Inoltre, per l’APE Social l’età anagrafica degli aventi diritto viene aumentata da 63 anni secchi a 63 anni e 5 mesi.

L’indennità è cumulabile con altri redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5 mila euro lordi massimi.

Mentre per “Opzione donna” restano in piedi le restrizioni già introdotte lo scorso anno rispetto alle tipologie di lavoratrici interessate (caregivers, invalide, licenziate o dipendenti aziende in crisi) e si aumenta l’età anagrafica da 60 a 61 anni, che poi sarebbe ridotta di un anno per ogni figlio fino a un massimo di due anni.