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Insegno da quattro anni, ma la lezione più bella non l’ho tenuta io

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Prof ma a che serve sapere queste cose qua?”

Insegnare nelle scuole professionali significa misurarsi con l’abulia delle nuove generazioni nei confronti della conoscenza. La scuola non smorza le difficoltà all’insegnante; crea la cattedra ancor prima di conoscere le attitudini personali dei docenti. Eppure la passione nasce in tenera età, l’attitudine fa parte della natura umana e l’insegnante, da questo coinvolgimento, crea gli strumenti per accattivare il discente.

Al primo anno d’insegnamento, per pura fortuna, mi hanno assegnato la mia materia preferita. Ero inesperto ma questa nomina ha infuso in me la giusta sicurezza. Ho portato avanti il mio lavoro, ma è mancato quel piacevole frizzante che scalda e rallegra i cuori, descritto ne “Il potere della bellezza nella formazione dei giovani” di Leopoldo Armellini che in quel periodo stavo leggendo. Allora mi rivolsi ad un appassionato ed esperto collega affinché tenesse una lezione di potenziamento nella mia classe. L’entusiasmo di quel professore è stata la chiave per stimolare la motivazione all’apprendimento e gli studenti, affascinati da cotanta competenza, risposero, da quel momento, con maggiore interesse anche nello studio a casa.

L’insegnamento è, infatti, anche il piacere di spiegare ciò che si ama e questa cooperazione mutò anche il mio rapporto con il collega; da conoscenza diventò amicizia e lui mi invitò a collaborare nuovamente.

Gli proposi, più avanti, un tutoraggio fra questa mia seconda e una sua classe quinta con lo scopo di vedere crescere le competenze tecniche, esperienziali e relazionali ma arrivò il covid e l’esito non lo potrò mai raccontare poiché le nostre strade a fine anno si separarono.

Le lauree di oggi sono molto specializzanti e settoriali a fronte di una scuola di carattere spesso non specifica per cui all’insegnante vengono assegnate materie con le quali ha poca confidenza o che non ha studiato all’università ed egli stesso, per quanti buoni propositi possa avere, svolgerà quindi lezioni più asettiche, ordinarie e di limitato coinvolgimento. Questa apparente mancanza di sentimento alimenta una certa diffidenza nei discenti che non si applicano, a meno che non abbiano una fortissima motivazione personale o non siano seguiti e stimolati dalle famiglie. Don Bosco, nella sua “lettera da Roma del 10/05/1884”, ci ricorda che emozioni come confidenza e fiducia sono necessarie per accompagnare gli studenti nella ricerca delle proprie aspirazioni, per raccomandargli volontà e sacrificio, uniche vie che permettono di compiere non solo scelte autonome e responsabili ma anche di raggiungere gradualmente lo scopo di “creare” sé stessi e il proprio futuro che è il principale compito della scuola.

Mario Borzì