Riceviamo e pubblichiamo un contributo della dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo di Montegiorgio (FM) Alessandra Pernolino, in merito all’idea di sperimentare un percorso di educazione alle relazioni attraverso la didattica teatrale:
“Il delitto efferato di Giulia, ennesimo femminicidio, desta scalpore, muove le coscienze, anche le più assopite, apre dibattiti, ma, soprattutto, pone tutti davanti ad un quesito: cosa fare perché simili gesti non si ripetano?
Anche il MIM si interroga. Qualcuno pensa: ecco, di nuovo, tutto ricade sulla scuola. Ma, qui, c’è in ballo la vita dei giovani, il futuro, la libertà, la parità di genere, la coscienza sociale. Qui, la scuola non può esimersi, non può tirarsi indietro dal principale ruolo che, da sempre, le è riservato: educare.
Ecco, quindi, una direttiva dal titolo emblematico “Educare alle relazioni”. Cinque articoli in cui si invitano le istituzioni scolastiche, secondarie di secondo grado, ad attivare progetti specifici, finanziati con fondi POC “Per la Scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento”, finalizzati alla costituzione di gruppi di discussione, in cui potranno essere coinvolti anche genitori ed esperti esterni, nei quali il docente, appositamente formato, svolgerà il ruolo di moderatore.
È noto, tuttavia, che la fase dell’adolescenza, collocabile approssimativamente in un’età compresa dai dieci ai quindici anni, sia il periodo più critico per i ragazzi, sottoposti a notevole crescita fisica, intellettuale ed emotiva ed è chiaro anche come sia proprio in questa fase che si sviluppino le prime relazioni consapevoli, al punto tale che la famiglia, ambiente di riferimento dell’infanzia, venga progressivamente sostituita, in termini di obiettivo sociale, dal gruppo dei pari.
La scuola secondaria di primo grado è, quindi, di fatto, il segmento maggiormente coinvolto nel delicatissimo compito di educare gli studenti alla costruzione delle prime relazioni positive con i loro coetanei.
In tempo di pandemia, quando gli schermi degli smartphone erano gli unici compagni di gioco, l’abuso dei social da parte dei ragazzi ha prodotto effetti catastrofici sul corretto sviluppo delle competenze sociali, rendendoli, troppo spesso, schiavi di una realtà virtuale che reprime il naturale desiderio di andare oltre l’apparenza, oltre l’immagine esteriore dell’altro, che costruisce rapporti fittizi, figli di dialoghi tastiera a tastiera.
Benché lo stato di emergenza sia, oggi, solo un ricordo, le abitudini prese in quarantena non sono scomparse con la paura. Per verificarlo, basta sedersi in una qualunque pizzeria, in una sera qualunque, e osservare il tavolo accanto, i due ragazzini seduti con mamma e papà. Hanno il cellulare appoggiato lì accanto al piatto. Se si illumina per una notifica, posano la forchetta e controllano, rispondono, sorridono, si animano, poi, in silenzio, ricominciano a mangiare.
È assai frequente, di questi tempi, sentire docenti scoraggiati che ripetono la frase, riferita ai propri studenti, non sono coinvolti, non si entusiasmano, non si emozionano per niente. Forse, lo fanno. Forse, si emozionano per un mi piace, per un follower in più, forse. O, forse, no.
Magari, sono semplicemente disabituati a guardare l’altro negli occhi, a stabilire un contatto, a sperimentare quell’empatia che umanizza e fa crescere, magari, sono così fortemente assorti in realtà parallele da aver perso di vista la concretezza di un sorriso, di una stretta di mano, di un abbraccio.
Esiste un modo per restituire agli studenti tutto questo. La risposta è nella riscoperta del teatro.
Oggi, il teatro è, perlopiù, uno strumento di svago per una fetta di società acculturata, ma, in passato, ad esso era assegnato il fondamentale compito di provvedere all’educazione degli adulti. Chiunque mastichi di filosofia ricorderà il concetto di catarsi aristotelica, la purificazione dalle passioni per chi assisteva alla rappresentazione di una tragedia, poiché l’arte drammatica era imitatrice della realtà e, riproducendone fatti gravi, sanguinosi o luttuosi, li sublimava in un sentimento di pietà e di terrore insieme, ponendo in qualche modo rimedio alle angosce quotidiane.
Partendo da questo assunto, la fruizione di spettacoli teatrali su tematiche di rilevanza sociale rappresenterebbe, già di per sé, un mezzo per potenziare il percorso di educazione alle relazioni, ma, probabilmente, non basterebbe.
L’imitazione, il calarsi nei panni dell’altro, il gioco teatrale possono rappresentare le chiavi di volta per toccare le corde più profonde degli studenti, corde che neanche loro, magari, conoscono.
Tutto ciò potrebbe essere realizzato progettando un laboratorio teatrale in orario curricolare, utilizzando l’ora di approfondimento di materie letterarie, la decima ora, la cui programmazione viene, spesso, lasciata al caso o alla libera ispirazione del docente ché tanto non c’è da valutare.
La scuola potrebbe scegliere, sentito il parere dei docenti del dipartimento di lettere, con delibera del Collegio, di sperimentare l’ora di teatro.
L’ora di teatro sarebbe una fucina di idee. Non tutti i docenti sarebbero pronti per gestire un laboratorio vero e proprio, né l’obiettivo principale dovrebbe essere rappresentato dall’allestimento di uno spettacolo. Il punto di partenza sarebbe, per tutti, il medesimo: essere docenti di lettere.
Ogni docente potrebbe avvalersi dello strumento teatrale secondo il proprio stile ed in base alle proprie competenze, gestendo l’ora di teatro attraverso un’attività di laboratorio attivo (esercizi di scrittura creativa di un copione teatrale, esperienze di improvvisazione, messa in scena di un copione), di fruizione (lezione su cenni di storia del teatro, lezione di letteratura a partire dalla lettura di stralci di copioni teatrali, fruizione di spettacoli registrati o parte di essi, visione di film tratti da opere teatrali), o misto, mixando le precedenti opzioni.
I docenti coinvolti potrebbero aver bisogno di essere formati, di apprendere in maniera pratica come trasformare il laboratorio in un’occasione pedagogica a trecentosessanta gradi. In questo caso, la scuola potrebbe avvalersi di professionisti che si occupino di fornire il know-how necessario per intraprendere il percorso.
Si tratta di un’impresa impegnativa, ma la didattica teatrale rappresenta certamente un veicolo prezioso per la formazione della persona, per la conoscenza di sé, per la costruzione del rapporto con l’altro, per l’acquisizione di competenze comunicative che consentano agli studenti un agire consapevole sul grande palcoscenico della loro vita.
Educare alle relazioni gli adolescenti si può. Ciò che conta è mettersi in gioco.”