Nel suo messaggio di fine anno, il Presidente della Repubblica Mattarella ha dedicato alcuni passaggi chiave al tema della guerra, della pace e dell’educazione.
In primo luogo, dopo aver fatto riferimento al conflitto in atto tra Russia e Ucraina e alla terribile situazione del conflitto Israele/Hamas, definisce la guerra come “ frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali. Dotati di pari dignità. Per affermare, invece, con il pretesto del proprio interesse nazionale, un principio di diseguaglianza. E si pretende di asservire, di sfruttare. Si cerca di giustificare questi comportamenti perché sempre avvenuti nella storia. Rifiutando il progresso della civiltà umana.”
Passa poi a chiarirne le conseguenze:
- La guerra – ogni guerra – genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti.
- . Il rischio, concreto, è di abituarsi a questo orrore. Alle morti di civili, donne, bambini….
- Macerie non solo fisiche. Che pesano sul nostro presente. E graveranno sul futuro delle nuove generazioni. Di fronte alle quali si presentano oggi, e nel loro possibile avvenire
In terzo luogo elabora una genealogia della guerra: “La guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. ….. Nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano.
Sono parole, queste, che riecheggiano il preambolo istitutivo dell’Unesco (La guerra nasce nella mente delle persone….) e indicano con chiarezza il senso del diritto internazionale e in particolare dei diritti umani che – come dice in chiusura il messaggio riferendosi alla nostra Costituzione che quando parla di diritti, usa il verbo «riconoscere» – “sono nati prima dello Stato”.
Dopo aver delineato con chiarezza la parte di analisi, il Presidente indica con altrettanta chiarezza i passaggi necessari per contrastare la logica di guerra e che interpellano le singole persone come gli stati e le istituzioni internazionali:
- è indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace. Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità. Sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace. Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti.
- impegnarsi per la pace significa considerare queste guerre una eccezione da rimuovere; e non la regola del prossimo futuro.
- volere la pace non è neutralità; o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole.
- perseguire la pace vuol dire respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati. Che mette a rischio le sorti dei rispettivi popoli. E mina alle basi una società fondata sul rispetto delle persone.
Quali le vie da percorrere? Anche in questo caso Mattarella è chiarissimo:
- per conseguire la pace non è sufficiente far tacere le armi.
- costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace.
Ed educare alla pace significa molte concretissime azioni che coltivino la cultura nel sentimento delle nuove generazioni.
- Nei gesti della vita di ogni giorno.
- Nel linguaggio che si adopera.
- Dipende, anche, da ciascuno di noi.
- Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà.
- Vediamo, e incontriamo, la violenza anche nella vita quotidiana. Anche nel nostro Paese. Quando prevale la ricerca, il culto della conflittualità. Piuttosto che il valore di quanto vi è in comune; sviluppando confronto e dialogo.
Per fortuna non si è parlato di scuola
Sono parole di grande chiarezza e grande concretezza. Anche per quello che tacciono.
Il Presidente infatti non assegna direttamente alla sola scuola il compito di educare alla pace.
E lo ringrazio per non aver utilizzato la diffusa tecnica che assegna alla scuola il compito di affrontare ogni emergenza (dalla droga alla violenza sulle donne, dagli incidenti stradali alla salute, dalla crisi degli adolescenti alla disoccupazione giovanile….).
Certo, educare alla pace è anche compito della scuola ma non è compito esclusivo della scuola.
E’ compito di tutti e tutte. Della società, dei cittadini, dei politici, del mondo economico e culturale, dei media. Tutti siamo chiamati ad educarci alla pace sviluppando dialogo e confronto e non il culto della conflittualità. Tutti, insomma, siamo chiamati ad educare alla pace dando il buon esempio: perché la pace non è buonismo ma azione concreta di giustizia e diritti. Se vuoi la pace costruisci la pace.