A fronte di dati scolastici in continuo miglioramento, anno dopo anno (crescita delle promozioni, crollo delle bocciature e degli esami, valutazioni in uscita sempre più alte… lo dicono i dati consultabili da tutti sul sito del Ministero) che ci testimoniano di come a scuola vada tutto bene, abbiamo a che fare quotidianamente con una realtà fatta di crollo degli apprendimenti, di errori che si credevano estinti da decenni e che ora invece sono tornati più forti che mai, di docenti aggrediti, di giovani disarmati di fronte agli insuccessi e alle fatiche della vita.
Quindi no, a scuola non va tutto bene. Al contrario, siamo di fronte ad una scuola totalmente scollegata dalla realtà che (salvo qualche caso di docenti che osano dire le cose come stanno e che però non mancheranno di essere prontamente ripresi dal dirigente e dai genitori di turno, venendo additati come i “cattivi”) afferma qualcosa che non esiste se non sulla carta o sul registro elettronico.
Non sarebbe però corretto gettare la croce tutta sulle spalle del sistema scolastico, che pure ha le sue responsabilità. Tutti sono sempre pronti a dire che per fare fronte all’emergenza educativa “la scuola deve fare questo, la scuola deve fare quest’altro”, scaricando di fatto tutta la responsabilità educativa solo su alcuni, come se l’educazione fosse una questione soltanto scolastica. Ma non è così. Io credo che il cedimento educativo di cui siamo testimoni chiami in causa non solo la scuola ma la società tutta, a cominciare dalla famiglia, prima depositaria dell’educazione dei propri figli. Ad educare, infatti, è tutta un’aria che si respira, e in tema di educazione sono anzitutto necessari adulti consapevoli del proprio ruolo, capaci di introdurre i ragazzi alla serietà e alla profondità della vita senza sconti o scorciatoie. A scuola come fuori da scuola.
È ora di allargare il recinto della responsabilità e di prendere coscienza che ad educare non sono solamente gli insegnanti, ma è tutto un contesto in cui la scuola è certamente chiamata a dare il proprio contributo – per quel che compete a lei – esattamente come tutti sono chiamati a dare il proprio. Per dirla con le parole di un proverbio “per crescere un bambino ci vuole un villaggio intero”.
La scuola può contribuire, ma non certo risolvere da sola i problemi della società, come invece ci si aspetta da lei. Tutti possono educare (o dis-educare) in ogni momento, in ogni luogo, ad ogni ora della giornata. E tutto può educare (o diseducare): un gesto curato piuttosto che uno violento, una parola opportuna oppure una “buttata lì” senza pensarci. Un ragazzo può imparare sempre, e può farlo da tutti. I ragazzi stanno a scuola solamente parte delle loro giornate. Ma la restante parte che esempi hanno davanti agli occhi?
È ora di interrogarsi un po’ di più sull’aria che i ragazzi respirano fuori dalla scuola e su quello che il villaggio sta facendo per i suoi giovani. Su quale terreno li fa crescere? Che cosa dice ai ragazzi quando dà visibilità a modelli fondati sull’eccesso e sull’apparenza, o quando mette sul piedistallo personaggi senza alcuna coscienza del bello e del buono? Che cosa vuole insegnare ai giovani quando mette sotto i riflettori il successo facile come stile di vita vincente, o quando è morbosamente attaccato alle vicende familiari dell’influencer di turno? Che cosa si pretende poi dalla scuola e dagli insegnanti, che ci pensino loro?
Tutti possono partecipare all’educazione dei giovani esattamente lì dove sono, facendo bene il proprio, senza sentire il bisogno di invadere la scuola per dire alla scuola quello che dovrebbe fare o di sentirsi in diritto di dire agli insegnanti come e cosa dovrebbero insegnare, cosa che invece sembra essere diventato lo sport preferito di molti, dai politici ai dirigenti e giù giù fino alle famiglie e agli studenti stessi. Come se io andassi da un chirurgo a dirgli come dovrebbe operare. E con quali risultati, poi? La scuola è stata inondata di proposte, corsi e progetti che l’hanno affossata snaturandola dal suo vero e unico compito, che è quello di istruire, insegnare ed educare attraverso le discipline.
E se ognuno iniziasse a fare il proprio, prima di dire agli altri che cosa dovrebbero fare?
Per educare un bambino ci vuole un villaggio intero. Ma il villaggio cosa sta facendo per questo?
Marco Radaelli