Una storia davvero triste. Una docente, una volta venuta a conoscenza del suicidio di un ex alunno, gli ha dedicato una lettera, pubblicata su VareseNews. Le sue parole sono molto commoventi e possono far sviluppare una riflessione profonda.
Ecco il contenuto del messaggio: “Davide, ad un passo dalla Laurea, ha deciso di porre fine alla sua vita. Ho conosciuto Davide perché lui frequentava l’Istituto dove io ero referente per gli alunni con bisogni particolari, che incontravo per capire come la scuola potesse metterli in grado di dare il meglio di sé senza farli continuamente sentire sbagliati.
Con Davide non ci sono mai riuscita: lui non voleva essere ‘diverso’ non voleva ‘privilegi’. Voleva essere IL migliore, non il privilegiato. Sì perché la scuola fa sentire così coloro che usano misure dispensative e compensative. I loro risultati sono sempre considerati frutto di un privilegio, di una mappa in più, di un esercizio in meno, di una programmazione delle verifiche. A scuola il momento della verifica DEVE fare paura, perché se hai paura studi come un matto, se hai paura ti impegni al massimo. Questo, forse, pensano gli insegnanti. Questo, forse, hanno vissuto loro per primi da studenti.
“Davide ha subìto questa scuola”
Davide ha subito questa scuola, non ha mai voluto sottrarsi da queste dinamiche perché questo era l’unico modo per negare i piccoli deficit che lo rendevano Davide, insieme ai suoi pregi. Lo ricordo come un ragazzo teso, che non mollava mai il controllo, che non voleva aiuto, che non voleva ‘si sapesse’, ma in ogni incontro con lui sentivo la stanchezza, per quella lotta incessante. Avevo paura che un giorno sarebbe crollato, perché un essere umano non può combattere se stesso se non… facendosi fuori.
Ho scelto la pensione anticipata perché in 20 anni non sono riuscita a seminare nulla a scuola, visto che il clima relazionale docenti/alunni è sempre lo stesso. Ci sono ovunque buoni, ottimi insegnanti, ma nessuno diventa sale, la scuola contiene in sé gli anticorpi, permette a quegli insegnanti di essere bravi all’interno del mondo chiuso delle loro aule, ma i Collegi docenti, i Dirigenti, il MIUR anestetizzano, se non addirittura uccidono, chi vorrebbe riportare l’insegnamento al luogo fecondo dell’apprendimento: la relazione.
Enrico Galiano, Alessandro D’Avenia, Daniela Lucangeli, Andrea Canevaro, Luisa Re, Tito Olivato, Laura Taccone, Elide Casati e tanti altri, insegnanti noti e meno noti, amati, seguiti, alcuni come fossero star hollywoodiane…. Dove vanno a finire le loro parole dopo che milioni di insegnanti le hanno ascoltate… dopo che centinaia di colleghi hanno condiviso lo stesso collegio docenti?
“Non verrò al tuo funerale, non ce la faccio”
Una docente, a Torino, in un liceo, ha scelto di non dare i numeri ai suoi alunni, ma di aiutarli a leggere le loro performance, a comprendere gli errori più che a sottolinearli, a cercare dentro l’errore la chiave del suo superamento. Accompagna gli alunni nella loro crescita senza che loro debbano sopportare l’ansia di un numero che non potrà mai contenere tutto quello che di quell’alunno/persona c’è in una verifica. La scuola ha ‘accettato’ che LEI operasse così, e per questo si arriva a definire la Dirigente che glielo permette, ‘illuminata’. Se l’ansia schiaccia e non fa germogliare i suoi alunni, quelli di Alessandro, di Enrico, perché è accettabile pensare che gli altri studenti, di altri prof, debbano esserne condizionati? Ah… già, la libertà di insegnamento!
Ciao Davide, non verrò al tuo funerale, non ce la faccio… la tua morte ha portato a galla, una volta di più, il dolore per tutto il dolore che la scuola provoca, che non si compensa con la felicità, l’entusiasmo, la crescita, fa forza, che riesce a dare… perché tutto questo dovrebbe essere normalità, mentre ancora è eccezione”.