Le recentissime elezioni per il rinnovo della componente elettiva del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione hanno visto impegnate associazione di insegnanti e forze sindacali nella presentazione delle liste; ho dato un’occhiata a quelle della scuola secondaria superiore e sono stata colpita dalla varietà dei “motti”. Interessanti, poiché, almeno nelle intenzioni, nel motto si dovrebbe concentrare l’essenza di ciò che si vorrebbe affermare nella scuola.
Leggiamoli insieme, questi motti: a suo modo è un esercizio divertente e non del tutto inutile. Va da sé che dirò il peccato e non il peccatore, lasciando alla curiosità di ognuno verificare quale lista abbia presentato un certo motto.
Iniziamo dal più icastico, che, probabilmente, racchiude nome della lista e motto: “Ars docendi”. Qui viene enunciata una indubbia verità: se non proprio un’arte, insegnare è mestiere di alto artigianato. Inutile stiracchiarlo verso una presunta scientificità, verso presunti ed opinabili parametri oggettivi e spingerlo verso la deriva tecnocratica. La scelta del latino sottolinea la volontà di collocarsi tra gli happy few ed esprime il desiderio di una scuola che non dimentichi il passato. Un po’ con la puzza sotto il naso, ma è breve e lasciamolo passare.
Altri motti sono espliciti quanto questo: “Valorizzare la diversità religiosa nei contesti educativi” – va be’, chi fa parte della lista si è dimenticato della laicità della scuola statale, ma non nasconde le proprie inclinazioni. C’è poi chi lascia attorno al motto un alone di mistero: “Indipendenza, professionalità, rispetto a fianco della famiglia”. Indipendenza da chi? Rispetto da parte di chi? L’unica cosa chiara è il collateralismo con le famiglie (che dovrà fare i conti con l’ “indipendenza”). “Pace ed educazione nel solco di don Lorenzo Milani e Gianni Rodari” dichiara subito le sue ascendenze culturali, ancorché la rude severità di Lorenzo Milani e la giocosità fantasiosa di Rodari formino una coppia, a ben vedere, piuttosto bizzarra – ma è lì che si esprime davvero l’ars docendi, nel far andare d’accordo elementi che, di primo acchito, sembrano in contrasto.
C’è anche chi vuole “formare un mondo diverso. Docenti, ATA e studenti uniti per una nuova scuola statale” – mi pare una buona sintesi: è lampante che il “mondo diverso” bisogna “formarlo” e che la scuola statale, oggi come oggi, più che formare persone per un mondo diverso si adegui all’esistente, nonostante lo sfarfallio di nuove metodologie didattiche, sfornate una ogni giorno, integrate da “nuove tecnologie” e, da poco tempo a questa parte, da arredi per un apprendimento innovativo. Sospettiamo che in questo “nuovo” si assista al trionfo del sempre-eguale.
Da alcuni motti traspare (non vorrei fare facile psicologismo, ma mi sembra che ci sia un’evidenza) anche la natura di chi li ha formulati. Un motto dettagliato non potrà che essere la spia di una natura non proprio cordiale ma che vuole patti chiari: “Rispetto di graduatorie e titolarità per assegnazione classi. No valutazione da parte del Dirigente. No demansionamento nel “potenziato” per supplenze. Ruolo unico pubblico, professionale, con 14 mensilità, retribuzioni europee e stato giuridico non impiegatizio. No liceo breve, alternanza scuola – lavoro (PCTO) e controriforma di istituti Tecnici e Professionali. Max 20 alunni. NO a sovrapposizione di tutor ed orientatori ai Consigli di classe. NO minimalismo e scuola – azienda. Sostegno in organico di diritto. Doppio canale per assunzione precari”. È il motto più lungo, che è anche un programma breve. Sull’altra sponda ci stanno gli spicci, ancorché piuttosto superficiali: “Stai dalla tua parte!”. E che vuol dire? Si è mai visto qualcuno che sta dalla parte di un altro, se non per ipocrisia codina? Ma forse è ancor peggio: “Difendi oggi la scuola di domani”. A rigore, difendere la scuola di oggi vuol dire mantenerla così com’è; qualche difettuccio, a ben vedere, la scuola di oggi ce l’ha.
Peggio ancora il grido “Liberi di insegnare”, in cui sento una nota corporativa, anche se porre l’accento sulla sempre più minacciata libertà di insegnamento non sarebbe sbagliato; avrei preferito “liberi di imparare” che vale per studenti ed insegnanti, poiché non si è “imparati” una volta per sempre.
Ci sono anche motti un po’ troppo pensati, ad esempio. “CambiaMenti: la scuola per riscrivere il futuro”. Io non sapevo che il futuro fosse già scritto, adesso apprendo che bisogna addirittura riscriverlo, certo con Menti diverse dalla mia. Ci sono i motti che predicano: “Democrazia, responsabilità, partecipazione” ma non disegnano un progetto chiaro. Spiccano i pochi che, secondo me, sono stati pensati da un pubblicitario, come “In prima persona, al plurale”. Suona bene. Un po’ più zoppicante “Scegli la coerenza” ma devo dire che mi influenza negativamente la conoscenza del contesto e sapere cosa ha fatto nella scuola, nell’ultimo quarto di secolo, chi invita a scegliere la coerenza, valore assai fuori moda e a me molto caro. Lascio perdere coloro che rinunciano al motto e presentano soltanto il nome della loro compagine, perché ho premesso che dirò il peccato e non il peccatore.
Finisco con “Valore scuola” – mi suonava familiare. Infatti “Valore scuola” è la denominazione di una cooperativa editoriale specializzata nei settori della scuola, dell’università e della ricerca, che ha anche qualcosa a che fare con i presentatori della lista – e chiudo eleggendo questo motto ad emblema di quel che manca nella scuola italiana. Come, manca qualcosa? Si chiederà il lettore dopo aver letto la lista di buoni propositi, esortazioni, indicazioni che emergono dai “motti” citati prima. Direi di sì – mancano le idee e quelle poche che ci sono sono trite e tristi. Manca la fantasia, ancorché un motto rimandi ad un grande maestro della fantasia, Gianni Rodari. Manca una speranza di società migliore, in cui la scuola possa finalmente respirare meglio: mancano gli studenti, presenti in un solo motto, e manca il verbo “studiare” ed anche la parola “sapere”. Sarà un caso?