Incontenibile, debordante, straripante appare (anzi è) questo irrefrenabile desiderio di cambiare la scuola.
Cambiare? Rivoluzionare, trasformare, rovesciarla (‘come un calzino’). Studiosi e veri esperti del settore spingono con sempre maggior forza perché si dia operativamente e concretamente atto a tale metamorfosi, indispensabile (a detta loro) per salvare la scuola e la sua imprescindibile finzione educativa, garantendo così un futuro alle nuove generazioni. Allora, continuamente, articoli, saggi, libri vengono ‘creati’ dalle penne geniali e digitali dei ‘nostri’ soloni che, continuamente (senza posa), gridano l’estrema e urgente
necessità di cambiare, subito, d’ “emblée”, senza porre in mezzo tempo alcuno. Si parla di introdurre ‘situazioni stimolo’, eliminare le micidiali lezioni frontali (che uccidono l’interesse e la partecipazione dei ragazzi), scardinare il binomio ascoltare-imparare (completamente sterile?), insomma trasformare la scuola in un laboratorio di esperienze dove gli alunni diventino protagonisti attivi del loro apprendimento.
Non è finita. Niente domande di controllo ma domande maieutiche (termine sempre affascinante, ammettiamolo, dalle mille sfumature semantiche) che aprono spazi per un apprendimento più profondo, scoperte inedite e intensi processi generativi, non esercizi estivi ma “compiti di realtà” (che non sia virtuale però), non uno studio meccanico ma un lavoro applicabile alla vita reale. Pochi controlli, poche valutazioni (se non una valutazione ‘evolutiva’) e una didattica cooperativa, fattuale, che lasci il ragazzo privo di vincoli (solo qualche raccomandazione), libero di cercare, sperimentare, incuriosirsi, scoprire e creare.
Non può mancare poi, la severa critica al nozionismo. Perché riempire le menti di nozioni, basta stimolarle a conquistarsele (i giovani hanno grandi capacità di memorizzazione, una naturale predisposizione ad applicare le conoscenze acquisite, una spontanea facilità all’operatività)?
La scuola (così si sostiene), nonostante tutto, è rimasta arroccata a metodi antiquati ed è incapace di comprendere e ascoltare il disagio delle nuove generazioni. I professori, in chiaro affanno nel comprendere le mutazioni antropologiche dei ragazzi, si trincerano ancora (pensate un po’!) dietro un programma (cosa assurda !), una valutazione, un giudizio, non riescono a trovare un punto di contatto con le nuove generazioni (le generazioni degli smartphone, così nocivi, se usati come ‘alter ego’, per i giovani e non solo) né a capirne il disagio e l’ansia e i ragazzi si sentono schiacciati da un sistema che non li considera neanche persone e non capisce di doversene farsene carico offrendo loro un’assistenza psicologica e valide figure di riferimento.
Quadro drammatico, assai preoccupante! Bisogna senza indugio alcuno cercare di trovare un rimedio. Questo è il pensiero degli ‘specialisti’, più o meno.
Sì, va bene, lo confesso, forse ho leggermente calcato la mano sulle ‘lamentazioni’ di ‘questi’ illustri studiosi (con il rischio di non riportare correttamente, in poco spazio, le loro tesi), ma due o quattro brevi osservazioni bisogna proprio farle per onore di verità:
– E’ chiaro che si sta tentando, a marce forzate, di trasformare la scuola (colpa anche della società confusa e dei disorientamenti dei genitori) in un centro psico-pedagogico dove, alla fine, ciò che importa veramente e la tranquillità e il benessere psico-fisico del giovane (obiettivo forse, primario, legittimo e doveroso, ma non certo il solo). Tentativo, peraltro, già iniziato da tempo e, purtroppo, in continuo progresso.
– Non sono ‘spot’ propagandistici, certo, ma esiste il sospetto (solo un sospetto) che chi scrive testi decisi contro il vigente sistema scolastico (persone ‘importanti’ a cui si deve, comunque, il massimo rispetto e vanno ascoltate) non abbia, in realtà una vera e assidua pratica sul campo. Molta teoria (e astrattezza) e non troppa esperienza concreta (o forse un’esperienza di molti anni or sono, forse anche ‘indiretta’). Probabilmente non sarà così, ma (mi sia consentito) si ha l’impressione che questi specialisti abbiano in mente una scuola direi quasi ancora ‘gentiliana’. Niente di più irreale e loro stessi lo sanno bene. Molti, moltissimi cambiamenti sono stati apportati al sistema formativo (non tutti validi, anzi spesso dannosi) in questi anni e varie riforme scolastiche sono state approvate dai governi. Alcune non attuate adeguatamente o realizzate male o in modo incompleto, altre, quelle portate a termine, non del tutto idonee e dai risultati non proprio positivi (a volte decisamente controproducenti). Già ora, in maniera evidente, la nostra scuola (interpretata, grave errore, come terreno di scontro politico) reca i segni di sensibili e importanti trasformazioni, per certi aspetti deleterie o, comunque, non ottimali.
– Sicuramente gli esperti, nei loro scritti, portano avanti istante giuste (almeno alcune) per quanto concerne la necessità di innovare la scuola, ma occorre sempre ricordarsi il ruolo fondamentale che questa svolge (architrave della società) e quindi operare con riforme misurate, fatte bene e ben mirate ad ottenere un complessivo e solido miglioramento nella crescita e nell’apprendimento dei ragazzi. Un cambiamento alla volta dunque, il tempo opportuno per capirne gli effetti e, eventualmente (se questi sono positivi e se lo si ritiene giusto) un altro passo verso l’evoluzione della scuola. Ogni metamorfosi deve essere graduale e continuamente controllata e monitorata. Una pioggia di innovazioni, a raffica, potrebbe ingolfare tutto il circuito istruttivo pericolo non pellegrino, già visto, purtroppo, in passato) e condurre a effetti non desiderabili né desiderati. Pazienza. Occorre pazienza, saggezza, umiltà e perseveranza.
– Ultima considerazione. Non cancelliamo con un rapido tratto di nera penna la nostra tradizione scolastica, non buttiamo a mare (con slanci ‘futuristici’) il passato, non offuschiamo la memoria per abbracciare, incondizionatamente e senza una oculata analisi, memorie. passati e tradizioni che non ci appartengono.
Il nostro sistema scolastico avrà indubbiamente dei difetti, come i sistemi educativi di tutti gli altri Paesi.
Innoviamo pure, guardiamo ‘oltre-alpe’, senza però aver fretta di bocciare ciò che è stato. Rinnoviamo con prudenza e intelligenza, anche secondo le esigenze della società, anche assimilando ‘costumi’ scolastici stranieri validi ed efficaci (senza farci incantare dalle ‘mode’ didattiche), ma non calpestiamo mai i nostri antichi valori educativi (quelli sani e imprescindibili) e non dimentichiamoci, l’ho già detto ma è meglio ripetersi (quanti articoli ripetitivi e poco originali leggo spesso sulla scuola) che se la scuola deve impegnarsi ad incontrare e capire i problemi della comunità, deve dialogare con essa come soggetto agente, con la precisa missione di ‘curarla’, senza subirla né farsi travolgere dai suoi mali. Se ciò avvenisse sarebbe una vero disastro. Non stravolgiamo, purtroppo si opera attivamente in tal senso, ‘alla cieca’, senza sapere bene la metà. Invero, però, è bene che ci sia sempre un dibattito sulla scuola e sul suo modus’ operandi’. Idee, proposte, tesi, opinioni. Il confronto, pacato e non frettoloso, fa sempre crescere e maturare.
Incontenibile, debordante, straripante appare (anzi è) questo irrefrenabile desiderio di cambiare la scuola.
Cambiare? Rivoluzionare, trasformare, rovesciarla (‘come un calzino’). Studiosi e veri esperti del settore spingono con sempre maggior forza perché si dia operativamente e concretamente atto a tale metamorfosi, indispensabile (a detta loro) per salvare la scuola e la sua imprescindibile finzione educativa, garantendo così un futuro alle nuove generazioni. Allora, continuamente, articoli, saggi, libri vengono ‘creati’ dalle penne geniali e digitali dei ‘nostri’ soloni che, continuamente (senza posa), gridano l’estrema e urgente
necessità di cambiare, subito, d’ “emblée”, senza porre in mezzo tempo alcuno. Si parla di introdurre ‘situazioni stimolo’, eliminare le micidiali lezioni frontali (che uccidono l’interesse e la partecipazione dei ragazzi), scardinare il binomio ascoltare-imparare (completamente sterile?), insomma trasformare la scuola in un laboratorio di esperienze dove gli alunni diventino protagonisti attivi del loro apprendimento.
Non è finita. Niente domande di controllo ma domande maieutiche (termine sempre affascinante, ammettiamolo, dalle mille sfumature semantiche) che aprono spazi per un apprendimento più profondo, scoperte inedite e intensi processi generativi, non esercizi estivi ma “compiti di realtà” (che non sia virtuale però), non uno studio meccanico ma un lavoro applicabile alla vita reale. Pochi controlli, poche valutazioni (se non una valutazione ‘evolutiva’) e una didattica cooperativa, fattuale, che lasci il ragazzo privo di vincoli (solo qualche raccomandazione), libero di cercare, sperimentare, incuriosirsi, scoprire e creare.
Non può mancare poi, la severa critica al nozionismo. Perché riempire le menti di nozioni, basta stimolarle a conquistarsele (i giovani hanno grandi capacità di memorizzazione, una naturale predisposizione ad applicare le conoscenze acquisite, una spontanea facilità all’operatività)?
La scuola (così si sostiene), nonostante tutto, è rimasta arroccata a metodi antiquati ed è incapace di comprendere e ascoltare il disagio delle nuove generazioni. I professori, in chiaro affanno nel comprendere le mutazioni antropologiche dei ragazzi, si trincerano ancora (pensate un po’!) dietro un programma (cosa assurda !), una valutazione, un giudizio, non riescono a trovare un punto di contatto con le nuove generazioni (le generazioni degli smartphone, così nocivi, se usati come ‘alter ego’, per i giovani e non solo) né a capirne il disagio e l’ansia e i ragazzi si sentono schiacciati da un sistema che non li considera neanche persone e non capisce di doversene farsene carico offrendo loro un’assistenza psicologica e valide figure di riferimento.
Quadro drammatico, assai preoccupante! Bisogna senza indugio alcuno cercare di trovare un rimedio. Questo è il pensiero degli ‘specialisti’, più o meno.
Sì, va bene, lo confesso, forse ho leggermente calcato la mano sulle ‘lamentazioni’ di ‘questi’ illustri studiosi (con il rischio di non riportare correttamente, in poco spazio, le loro tesi), ma due o quattro brevi osservazioni bisogna proprio farle per onore di verità:
– E’ chiaro che si sta tentando, a marce forzate, di trasformare la scuola (colpa anche della società confusa e dei disorientamenti dei genitori) in un centro psico-pedagogico dove, alla fine, ciò che importa veramente e la tranquillità e il benessere psico-fisico del giovane (obiettivo forse, primario, legittimo e doveroso, ma non certo il solo). Tentativo, peraltro, già iniziato da tempo e, purtroppo, in continuo progresso.
– Non sono ‘spot’ propagandistici, certo, ma esiste il sospetto (solo un sospetto) che chi scrive testi decisi contro il vigente sistema scolastico (persone ‘importanti’ a cui si deve, comunque, il massimo rispetto e vanno ascoltate) non abbia, in realtà una vera e assidua pratica sul campo. Molta teoria (e astrattezza) e non troppa esperienza concreta (o forse un’esperienza di molti anni or sono, forse anche ‘indiretta’). Probabilmente non sarà così, ma (mi sia consentito) si ha l’impressione che questi specialisti abbiano in mente una scuola direi quasi ancora ‘gentiliana’. Niente di più irreale e loro stessi lo sanno bene. Molti, moltissimi cambiamenti sono stati apportati al sistema formativo (non tutti validi, anzi spesso dannosi) in questi anni e varie riforme scolastiche sono state approvate dai governi. Alcune non attuate adeguatamente o realizzate male o in modo incompleto, altre, quelle portate a termine, non del tutto idonee e dai risultati non proprio positivi (a volte decisamente controproducenti). Già ora, in maniera evidente, la nostra scuola (interpretata, grave errore, come terreno di scontro politico) reca i segni di sensibili e importanti trasformazioni, per certi aspetti deleterie o, comunque, non ottimali.
– Sicuramente gli esperti, nei loro scritti, portano avanti istante giuste (almeno alcune) per quanto concerne la necessità di innovare la scuola, ma occorre sempre ricordarsi il ruolo fondamentale che questa svolge (architrave della società) e quindi operare con riforme misurate, fatte bene e ben mirate ad ottenere un complessivo e solido miglioramento nella crescita e nell’apprendimento dei ragazzi. Un cambiamento alla volta dunque, il tempo opportuno per capirne gli effetti e, eventualmente (se questi sono positivi e se lo si ritiene giusto) un altro passo verso l’evoluzione della scuola. Ogni metamorfosi deve essere graduale e continuamente controllata e monitorata. Una pioggia di innovazioni, a raffica, potrebbe ingolfare tutto il circuito istruttivo pericolo non pellegrino, già visto, purtroppo, in passato) e condurre a effetti non desiderabili né desiderati. Pazienza. Occorre pazienza, saggezza, umiltà e perseveranza.
– Ultima considerazione. Non cancelliamo con un rapido tratto di nera penna la nostra tradizione scolastica, non buttiamo a mare (con slanci ‘futuristici’) il passato, non offuschiamo la memoria per abbracciare, incondizionatamente e senza una oculata analisi, memorie. passati e tradizioni che non ci appartengono.
Il nostro sistema scolastico avrà indubbiamente dei difetti, come i sistemi educativi di tutti gli altri Paesi.
Innoviamo pure, guardiamo ‘oltre-alpe’, senza però aver fretta di bocciare ciò che è stato. Rinnoviamo con prudenza e intelligenza, anche secondo le esigenze della società, anche assimilando ‘costumi’ scolastici stranieri validi ed efficaci (senza farci incantare dalle ‘mode’ didattiche), ma non calpestiamo mai i nostri antichi valori educativi (quelli sani e imprescindibili) e non dimentichiamoci, l’ho già detto ma è meglio ripetersi (quanti articoli ripetitivi e poco originali leggo spesso sulla scuola) che se la scuola deve impegnarsi ad incontrare e capire i problemi della comunità, deve dialogare con essa come soggetto agente, con la precisa missione di ‘curarla’, senza subirla né farsi travolgere dai suoi mali. Se ciò avvenisse sarebbe una vero disastro. Non stravolgiamo, purtroppo si opera attivamente in tal senso, ‘alla cieca’, senza sapere bene la metà. Invero, però, è bene che ci sia sempre un dibattito sulla scuola e sul suo modus’ operandi’. Idee, proposte, tesi, opinioni. Il confronto, pacato e non frettoloso, fa sempre crescere e maturare.
Andrea Ceriani