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Crepet: “Siamo servi dei figli, ci vuole autorevolezza”. Galiano: “Non metto note dal 2010, sì a teatro a scuola e allegria”

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Ieri, 2 giugno, c’è stato un interessante faccia a faccia tra il docente e scrittore Enrico Galiano e lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet. I due hanno discusso di educazione a Dilemmi, su Rai3, secondo due diverse prospettive. Ecco il loro botta e risposta.

Crepet: “Percepisco preoccupazione, le persone sono disorientate. L’educazione democratica, secondo cui siamo tutti uguali, è fallimentare. C’è un disagio nell’età evolutiva. Noi abbiamo contestato i nostri genitori per diventare servi dei figli. Questo è un fallimento”.

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Insegnare con allegria è più fruttuoso?

Galiano: “Quando ho iniziato un docente mi ha consigliato di avere uno sguardo triste in classe. Devi fare vedere che sei arrabbiato, così i ragazzini si calmano. L’insegnamento è una branca della recitazione. A volte ho usato questo approccio, ma poi col tempo ho capito che con l’allegria si ottengono più risultati. Le emozioni che proviamo mentre impariamo si fissano nella memoria e si collegano alla nozione. Se impariamo qualcosa con la paura resterà sempre la paura di quel concetto”.

“Voi vi fareste curare l’appendicite con gli strumenti del 1800? No. Perché ci sono approcci come questo ancorati a strumenti del passato. Ad esempio, il voto in condotta“.

Crepet: “Pensare che l’autorevolezza sia uno scartino dell’Ottocento mi sembra ingenuo. O sei autorevole o non conti niente. Non c’è nulla di così strano dell’autorevolezza. Trovo bizzarro che si parli di emozioni. Ma oggi non ci sono più. Un’emozione non può essere un’emoticon. Dire che l’educazione di oggi è un disastro non vuol dire appartenere alla scuola di De Amicis. La scuola deve essere autorevole per cui se io uso un coltello contro un prof qualcosa deve accadere, senza pensare a quali problemi aveva un ragazzo. Non bisogna mandarli a casa, i ragazzi hanno bisogno di più scuola”.

Galiano: “C’è un vuoto prima che i ragazzi arrivano ad un gesto del genere. La scuola investe in tecnologia ma non in quello che servirebbe davvero. Se fossi ministro? Servirebbero corsi di teatro, servirebbe più scuola. C’è un vuoto d’amore, c’è un vuoto di cura. Ci vuole uno psicologo a scuola. I ragazzi sono più fragili ma non più deboli. Tendono a mettere in mostra le fragilità. E poi sono ansiosi, in una società ultracompetitiva. Perché pretendiamo da loro il massimo?”.

“Facile accusare i genitori”

Crepet: “Ovvio che ci vorrebbe il teatro, la danza, il mimo, la musica. Bisogna togliere i social, all’infanzia e alle elementari bisogna usare le matite. Ci sono delle cose ottocentesche che sono strepitose. Abbiamo tolto il gioco dai bambini. Stare davanti alla playstation non è giocare. Noi accondiscendiamo, facciamo capire ai figli che sono loro quelli che comandano. Non bisogna portare i genitori a scuola”.

Galiano: “Figliocrazia? Modo di vedere le cose un po’ miope. Risulta facile accusare i genitori. Ma bisogna capire perché succede qualcosa. Non ne usciamo se iniziamo ad accusarci a vicenda. Oggi i genitori di fronte ai fallimenti dei figli hanno un senso di colpa, prima no. Ci sono però aspetti positivi in questo maggiore coinvolgimento emotivo. Nel mio ideale non si deve arrivare alla sanzione, non metto note dal 2010. La sanzione richiede anche maggiore impegno da parte del docente. Una cosa che funziona è far fare da tutor ai ragazzi più grandi ai piccoli, i lavori socialmente utili. Questo non viene percepito come sanzione”.

Crepet: “Ripartiamo dall’autorevolezza. Ci vuole una sanzione. Nel film si diceva ‘capitano, mio capitano’, non ‘amichetto'”.

Galiano: “Non sono d’accordo con questo approccio. L’autorevolezza si fonda su un semplice sguardo, con i miei studenti abbiamo un rapporto di relazione, perché so che si sentono ascoltati. Sentono che c’è un adulto che è interessato a ciò che hanno da dire, non in ciò che lui deve dire a loro. Poi dopo ti ascoltano. Non serve bastone e carota, sono persone non animali. Se mi fanno arrabbiare? A volte sì, loro provocano, per farsi vedere. Bisogna avere un po’ di fede negli alunni, dare loro il tempo di sbagliare e fare uscire il loro talento”.