A conclusione dell’anno scolastico, in particolare del ciclo della scuola superiore di primo grado, eccoci davanti ai risultati delle prove INVALSI (o anche misuratori di “competenze”?!): ma veramente trovano ragion d’essere, se pensiamo che sono delle prove standard, test, prove misurabili, a tempo, a risposta chiusa e che non includono altri parametri valutativi?
Certamente qui non si parla più, non si tratta più di valutare, ma ampiamente di “misurare” un alunno, una alunna che, alla soglia di un nuovo inizio di ciclo di istruzione, porta con sé un “bagaglio” che molto spesso non rispecchia il suo vero valore; come ad esempio, nonostante la pagella sia espressa in numeri, ritroviamo proprio in questo documento valutativo finale, in cui la complessità dello studente è ampliamente evidente, soprattutto se si pensa che, ciò che rivela, è il frutto di un gruppo di Professori che per tre anni ha colto e seguito ogni sfumatura, tutto il potenziale di quel ragazzo o ragazza, sia per quel che riguarda le sue capacità scolastiche, sia per quanto concerne la dimostrazione di impegno e volontà di migliorare.
Una pagella che non trova riscontro in quanto rilevato dai risultati degli invalsi; questi test, strumenti troppo tecnici e pragmatici all’estremo, non complementari ai voti ottenuti durante l’anno che dimostrano, invece, quanto lavoro, dedizione e studio sono stati effettivamente messi in atto, anche nella globalità del ciclo dei tre anni della scuola superiore di primo grado.
Dunque, un’attenzione prematura alle competenze e un sempre più evidente accantonamento delle conoscenze dell’alunno che non viene rappresentato con questi test, che escludono alcune sue caratteristiche, fondamentali per affrontare il suo nuovo ciclo di Istruzione:
- La sua capacità di verbalizzare, parlare e riportare a voce quanto studiato.
- La sua capacità di elaborare un testo scritto, un tema che comprenda ortografia, sintassi, lessico, quindi la grammatica italiana in tutta la sua varietà e importanza.
- La sua capacità di impegnarsi, consegnare tutto ciò che un Professore richiede, manifestando la propria responsabilità nell’ultimare compiti e assegnazioni.
- La sua capacità di dimostrare un saldo “metodo di studio”.
- Infine, ultimo, ma non per ordine di importanza, la sua capacità, davanti alle difficoltà, di dar voce alla parte resiliente, al recupero e alla “risalita”, alla ripresa da un momento di stallo.
A tal proposito, Paola Mastrocola, nei suoi testi “La scuola raccontata al mio cane” e “Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza”, riesce attraverso delle parole illuminanti a supportare tale questione ponendo l’attenzione, concedendo ampio spazio a tutto ciò che rappresentano realmente questi test “a crocette”, affermando come sia poco edificante ridurre tutto l’impegno e il lavoro di uno studente a dei meri punteggi, numerini ottenuti da delle riposte “preconfezionate”, togliendo l’opportunità a quell’alunno di potersi esprimere argomentando; elaborando un discorso che sia anche la voce della sua interiorità che solo i suoi Professori, che lo hanno accompagnato/a nel percorso, possono essere in grado di valorizzare, osservare e portare alla luce. Sicuramente non degli esaminatori esterni che sostanzialmente sono chiamati a fare una “conta”, che poi, torno a ripetere, capita non essere coincidente con quanto emerge, altresì, dalle pagelle scolastiche.
Concludo con una frase di Paola Mastrocola, riportata sul libro “La scuola raccontata al mio cane“, che racconta proprio dove si sta andando continuando a dar peso ad alcune tipologie di valutazioni (che sono a tutti gli effetti, però, delle “misurazioni”): ”Se le parole chiave di un tempo erano studio, conoscenza, insegnamento, istruzione e lezione, ora sono formazione, innovazione e soprattutto competenza”.
Roberta Favorito