Presto Enrico Letta non sarà più un parlamentare. L’annuncio è arrivato dallo stesso ex presidente del Consiglio, su Rai3, nel corso di “Che tempo che fa” condotto da Fabio Fazio: “mi dimetto dal Parlamento. Voglio vivere del mio lavoro come ho vissuto per un po’ di anni della politica”, ha detto Letta. “Guiderò la scuola di affari internazionali dell’università di Parigi”, destinata a giovani dai 19 ai 24 anni. E poi puntualizza: “non prenderò nessuna pensione da parlamentare”.
L’addio di Enrico Letta al Parlamento giunge a poco più di un anno dalla fine del suo governo. Ma il suo è un addio: si tratta solo di una pausa dalla politica. La decisione, maturata negli ultimi mesi, era stata anticipata da Letta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, uscendo dal colloquio “rincuorato”. L’ex vicesegretario non aveva invece comunicato la notizia al suo Partito democratico e tantomeno a Matteo Renzi: “La apprenderà ora”, sorride. Poi aggiunge ironico: “Ne parleremo, i nostri rapporti sono sereni…”. Una battuta al messaggio “Enrico stai sereno” che Renzi gli inviò solo poche settimane prima di prendere il suo posto a Palazzo Chigi. Da allora, dopo la fotografia del gelido passaggio della campanella a Palazzo Chigi, i rapporti si sono praticamente azzerati.
Le diversità tra i due leader, del resto, è palpabile. Anche in campo scolastico. Della riforma della scuola targata Renzi si è detto tanto. Di quella di Letta? Pochissimo. Perché lui la riforma l’aveva presentata. Solo che fu resa pubblica a poche ore dall’addio a Palazzo Chigi. E passò quasi inosservata.
Ma in cosa consisteva la riforma della scuola di Enrico Letta? Il progetto è contenuto nel documento “Impegno Italia 12 febbraio 2014”, presentato dal premier in conferenza stampa lo stesso giorno, frutto delle intese raggiunte attraverso il ‘patto di coalizione’ che avrebbe dovuto portare il suo Esecutivo sino a fine legislatura. L’innovazione maggiore della riforma Letta prevedeva l’avvio dei cicli di istruzione scolastici formativi a 5 anni anziché 6, senza anticipare la primaria, ma considerando quella d’infanzia scuola a tutti gli effetti. E concludere, di conseguenza, le superiori a 18 anni. In modo da adeguare l’Italia agli standard europei.
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Più di qualche affinità con il programma di Renzi, comunque c’era: Letta, ad esempio, si impegnava anche a “introdurre criteri più stringenti di valutazione e valorizzazione del merito: è essenziale poter contare su un sistema condiviso e affidabile di valutazione delle scuole, che permetta di premiare il merito”. Questo obiettivo si attuerà portando a termine, entro il 2014, “il regolamento sulla valutazione al fine di assicurare la piena operatività del Sistema nazionale di valutazione delle scuole pubbliche e delle istituzioni formative incentrato sull’Invalsi. Letta avrebbe voluto anche investire nell’edilizia scolastica, un passaggio fondamentale per contribuire alla ripresa economica e alla rigenerazione urbana. Importanti iniziative sono state già assunte e vanno ora rese tutte operative.
Tra gli impegni figurava un investimento “nel periodo 2013-2015” di “oltre due miliardi di euro per gestire la sicurezza e l’adeguatezza delle strutture scolastiche”; il completamento “dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica, ferma al 1996”; una accelerazione sugli “interventi in corso di realizzazione a partire dai 692 già avviati con il DL Fare. Entro il secondo trimestre saranno adottati i necessari provvedimenti attuativi”.
Non molto diverse erano invece le intenzioni sul reclutamento dei nuovi insegnanti e per il superamento del precariato. “Gli interventi devono prevedere un sistema di selezione di alta qualità che abiliti i giovani insegnanti alla professione attraverso l’università, e in numero adeguato alla domanda”. L’impegno è quindi quello di “confermare la chiusura definitiva delle graduatorie a esaurimento”, con buona pace degli abilitati dell’ultimo triennio (che così per essere immessi in ruolo sarebbero dovuto necessariamente passare attraverso il concorso pubblico).
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Il governo Letta riteneva quindi centrale “avviare corsi universitari abilitanti calibrati sul fabbisogno effettivo” e “indire concorsi a cadenza triennale”. La novità sarebbe dovuta arrivare “entro l’anno”, dalla “riforma dei percorsi di formazione iniziale e di reclutamento”.
Invece dopo qualche giorno c’è stato il passaggio di mano con Renzi, con la riforma che ha preso un’altra piega.
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