Alla vigilia delle contestazioni che si stanno materializzando contro la #riformabuonascuola, ‘La Tecnica della Scuola’ ha intervistato alcuni dei sindacalisti promotori della striscia di scioperi – ben tre in due settimane -, il cui andamento potrebbe risultare decisivo ai fini dell’approvazione del disegno di legge di riforma n. 2994.
Iniziamo con proporre ai nostri lettori una doppia intervista, a Marcello Pacifico e Stefano d’Errico, rispettivamente a capo dell’Anief e dell’Unicobas, i sindacati che assieme all’Usb hanno indetto lo sciopero generale per il prossimo 24 aprile. Lo stesso giorno è stata anche programmata una manifestazione a Roma, in piazza della Repubblica a partire dalle ore 10.00, e sit-in a seguire davanti alla Camera con inizio alle ore 15.00.
D. Il Pd ritiene che le proteste derivino da una cattiva comunicazione sui contenuti della riforma: nei prossimi giorni, il premier Renzi farà arrivare a tutti gli insegnanti una lettera per convincerli della bontà dell’impianto di norme già approvate dal Governo. Come giudica questa iniziativa?
M. PACIFICO – Piuttosto che chiedere di non scioperare e spiegare la riforma, Renzi dovrebbe farsi illustrare da chi conosce la scuola cosa non va. In questo modo, si renderebbe conto che sta cercando di approvare una riforma senza capo né coda. E che insistendo, il premier, assieme al suo governo, potrebbe farsi veramente male.
S. D’ERRICO – Renzi non ha scuse: se dopo sette mesi è riuscito a far perdere la pazienza persino a sindacati ‘tiepidi’ per definizione come i Confederali e gli ‘autonomi’, gli stessi che hanno lasciato correre quasi su tutto persino ai tempi della Gelmini, significa che ‘La buona scuola’ è davvero impresentabile. La verità è che la rabbia della categoria prende sempre più forza: lo testimoniano le migliaia di assemblee ed iniziative spontanee in tutta Italia. Sono stati il nostro sciopero e questa determinazione nelle scuole a far muovere persino i sindacati concertativi, fermi sino a sabato scorso, 18 aprile, ad un pietoso ‘blocco’ delle attività aggiuntive e degli straordinari in atto dal giorno 9 (compresi un sabato ed una domenica).
D. Perché venerdì mattina un dipendente della scuola dovrebbe aderire al vostro sciopero e manifestare a Roma?
S. D’ERRICO – È molto semplice: perché il 5 maggio potrebbe essere già troppo tardi. E poi perché i fautori di quella data, vedendovi ‘luce ed ombre’, non chiedono il ritiro del ddl, ma solo ‘aggiustamenti’. E poi perché aderirebbero ad uno sciopero, sempre quello di martedì 5 maggio, voluto da quei sindacati firmatari di accordi e contratti ridicoli non solo negli ultimi 20 anni, ma anche recentemente. Come quello di Trento, che ha permesso proprio la sperimentazione de ‘La Buona Scuola’ nella provincia autonoma.
M. PACIFICO – Perché il 5 maggio la riforma sarà in gran parte approvata. Aderendo al nostro sciopero, invece, i lavoratori darebbe il là ad una mobilitazione. E potrebbero davvero convincere il Governo a tornare sui suoi passi. Magari anche a fare quel censimento dei posti liberi, per convincere chi governa la scuola che le cattedre per tutti i precari della scuola già ci sono. Oltre che a rivedere l’errata posizione su assunzioni dimezzate, sulla mobilità negata a chi viene immesso in ruolo, sulla valutazione esasperata, sulla chiamata diretta incostituzionale.
D. Cosa risponde al presidente del Consiglio quando dice che “fa ridere scioperare contro chi sta assumendo 100mila insegnanti”?
M. PACIFICO – Che quest’anno le assunzioni non saranno 100mila, perché i tempi tecnici non ci sono. E che, qualora si attuassero, si tratterebbe comunque della metà, in organico di diritto, di quelle attuate dalla Gelmini. I numeri di Renzi, inoltre, sono inferiori pure a quelli del 2006, quando Fioroni aveva precocemente capito che occorreva salvaguardare la parità di trattamento per i neo-assunti. Non dimentichiamo, inoltre, che i nuovi assunti non potranno godere del primo gradone di stipendio. E che forse l’aspetto più grave di questa situazione è che si cade nell’errore di voler risolvere la piaga del precariato assumendo solo ad una parte degli insegnanti abilitati: gli esclusi, idonei vincitori di concorso, abilitati con Tfa e Pas, tutti coloro che sono nelle graduatorie d’istituto, circa 30mila della GaE, continueranno a fare i supplenti. Ma siccome qualcuno, lo stesso Renzi, lo scorso settembre gli aveva detto che sarebbero stati assunti, ricorreranno con ancora più insistenza in tribunale per ottenere risarcimenti morali e pecuniari.
S. D’ERRICO – Che Renzi inizialmente ha promesso 180mila assunzioni, solo perché obbligato dalla Corte di Giustizia Europea (pena 3 miliardi di multa): gli unici ‘beneficiari’ dovevano essere i precari delle GaE (anche quelli che, fra loro, rifiutano incarichi da anni), ma alla fine non ne assumerà neppure un terzo. Verranno escluse le insegnanti di scuola dell’Infanzia e faranno una ‘cernita’ per gli altri a seconda delle classi di concorso. Per chi non è nelle GaE (ma magari ha più anni di servizio) c’è una sola ipotesi: vincere un concorso o cambiare lavoro (magari solo a giugno 2018, dopo le elezioni politiche), perché il divieto di stipulare contratti per più di tre anni non verrà eliminato, ma solo ritardato. E comunque, alla fine, le assunzioni saranno appena 45mila, fra Ata e docenti, ovvero poco più della copertura del turn-over (35.000 pensionandi) e delle 8.000 cattedre di sostegno scoperte. Avrebbero dovuto disapplicare le norme sulla costituzione degli organici, ma per settembre non sono in linea con i tempi di approvazione. Questo significa anche che non ci saranno le condizioni per un vero organico funzionale, né per eliminare le ‘classi pollaio’, cose che richiederebbero più assunzioni delle cattedre da coprire e la revisione dei parametri per la formazione delle classi. Il resto dovrà aspettare invano, scoprendo presto che l’aumento dei carichi di lavoro ‘gratis et amore dei’ in arrivo entro sei mesi dall’approvazione del ddl con la riscrittura complessiva di tutti gli istituti contrattuali (ferie ‘sottese’ ed orario compresi) avrà fatto sparire le cattedre vuote, con buona pace della sentenza europea.
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D. Sembra che su competenze decisionali degli organi collegiali e supplenze del personale con oltre 36 mesi di servizio, il Partito Democratico sia tornato sui suoi passi: rimarranno in vigore entrambe. Ciò significa che il Ddl non è blindato: il Governo è disposto a cambiarlo. O no?
S. D’ERRICO – Forse, ma i sindacati tradizionali intervengono solo contro l’art. 12 del ddl-Scuola di Renzi (quello che impedisce la nomina dei precari che hanno già 36 mesi di supplenza alle spalle, la cui vigenza verrà solo rinviata), la ‘ricontrattualizzazione’ degli istituti da trasformare in riserva di legge (alcuni meccanismi della ‘premialità’, etc.) e la riapertura delle trattative contrattuali, lasciando sostanzialmente intonse buona parte delle 13 deleghe al Governo per lo stravolgimento dello stato giuridico e della scuola di tutti. Anche i ‘rumors’ di queste ore sul presunto ‘ammorbidimento’ del ddl confermano che sui punti-cardine della sua operazione Renzi non intende mollare. Qualsiasi mediazione non cancellerà il fatto che, qualora il ddl passasse, quelle di quest’anno diventerebbero le ultime domande di trasferimento libere a memoria d’uomo. I neo-assunti finirebbero tutti in un ‘ruolo’ regionale, all’interno del quale potrebbero scegliere solo un ambito ed un ‘albo’ territoriale, come gli insegnanti di religione che operano nei limiti di una diocesi. Dovrebbero quindi fare la ‘questua’ dai dirigenti scolastici di quella ‘rete di scuole’ per ottenere un incarico di durata triennale che, se non riconfermato, obbligherà al ritorno nel ‘limbo’. E ogni dirigente avrà mano totalmente libera nello scegliere le persone di sua fiducia, premiandole o penalizzandole come meglio crede. I docenti diventeranno gli unici nel settore pubblico (e non solo) a non avere più diritto alla titolarità sul posto di lavoro, che invece gli Ata manterranno. Perciò, se il ddl non viene ritirato, la mobilità dei docenti verrà comunque decontrattualizzata.
M. PACIFICO – Forse il Governo si è reso conto che una scuola autonoma priva di organi collegiali adeguati è come un ministro senza portafoglio. Con l’aggravante che i soldi, nemmeno pochi, oltre 23mila euro a scuola in media, vengono gestiti dal preside. Che li farà avere, inevitabilmente, al suo staffe e ai suoi adepti. Il Governo avrebbe fatto bene ad attendere il rinnovo del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, con tutto il personale della scuola chiamato al voto nel proprio istituto martedì 28 aprile.
D. Tanti dipendenti della scuola non comprendono il motivo dello spezzettamento degli scioperi: dopo di voi, si fermeranno Cobas, Confederali, Snals e Gilda il 5 maggio. Poi ancora stop dei comitati di base il 12 maggio, per le prove Invalsi. Non pensa che il dissenso contro la riforma Renzi-Giannini poteva essere l’occasione per tornare a realizzare uno sciopero unitario, come quello dell’autunno del 2008 che portò a Roma un milione di persone?
M. PACIFICO – In linea teorica sarebbe una condizione auspicabile. Nei fatti, però, siamo posizionati troppo lontano da quei sindacati rappresentativi, che nel corso degli ultimi anni ne hanno combinate davvero troppe. Basta ricordare che, assieme alle modifiche al ddl, stanno rivendicando il rinnovo del contratto. Una richiesta sacrosanta per dei dipendenti che sono oggi pagato dal loro datore di lavoro, lo Stato, con stipendi di quattro punti percentuali sotto l’inflazione. Ma va anche detto che prima di pensare al rinnovo del contratto occorre cambiare le regole, avallate da quasi tutti gli stessi sindacati che oggi si dicono indignati. Non sono stati loro ad aver dato seguito al decreto legislativo 150/09 e all’intesa interconfederale del 4 febbraio 2011, che ha rappresentato l’inizio della sostituzione degli scatti di anzianità con il merito per prestazione individuale? Tra l’altro, il DEF, che a breve verrà approvato, ci ha confermato quanto Anief dice da tempo: i primi aumenti stipendiali, legati all’indennità di vacanza contrattuale congelata da sei anni, si realizzeranno solo nel 2019. E sapete a quanto corrispondono: cinque euro netti al mese!
S. D’ERRICO – La domanda è puntuale, ma puntualmente ci riporta al tempo della controriforma Gelmini, quando l’Unicobas proclamò lo sciopero per il 3 ottobre 2008 portando cinquemila colleghi sotto il Miur con 3 giorni di anticipo sulla prima discussione alla Camera del provvedimento. L’adesione fu significativa, ma la maggioranza della categoria aspettava ‘lo sciopero di tutti i sindacati’. I Cobas scioperarono il 17 ottobre, dopo l’approvazione del piano Gelmini alla Camera, mentre Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, dilazionarono il loro sciopero ‘unitario’ al 30 ottobre, esattamente il giorno successivo all’approvazione definitiva della legge, avvenuta al Senato il 29 ottobre 2008: i 150mila in piazza vennero beffati. Fino a ieri fuori dal ‘coro’, i Cobas sono certi di voler consegnare nelle mani dei sindacati più ‘tiepidi’ la gestione politica della rabbia della categoria? Di fatto, i Cobas avrebbero voluto far convergere le altre sigle sulla data del 12 maggio (ed anche la Cgil s’era espressa a favore), per uno sciopero proclamato da gennaio contro le prove Invalsi nella scuola superiore, una data inizialmente scelta dall’Unione degli Studenti per una manifestazione contro il ddl Renzi. Ma il fronte sindacale moderato ha piegato sia loro che la Flc-Cgil ad una data che non disturberà i test Invalsi nelle superiori ed a ‘scaricare’ il binomio ‘studenti in piazza-no Invalsi’. Quella data, tardiva rispetto all’iter di approvazione del ddl, alla quale sono rimasti testardamente abbarbicati i Cobas, resta invece importante anche per noi rispetto al rifiuto della Scuola-quiz. La lotta è appena all’inizio.
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