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Docenti del futuro

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Chiamiamola fase di transizione o di mutamento (non diciamo ‘progresso’), per evitare di ricorrere a termini più inquietanti come disagio o crisi professionale, ma un certo disorientamento è ben visibile in molti insegnanti (forse i meno giovani) di fronte al rapidi mutamenti della scuola nella sua struttura organizzativa, nei suoi metodi pedagogici, nei suoi strumenti educativi.

Basti pensare alla presenza sempre più invasiva e dominante dell’intelligenza artificiale, una presenza destinata, in futuro a farsi ancor più pressante e ‘totalitaria’.
L’Intelligenza Artificiale diventerà strumento indispensabile nelle scuole e consentirà di fare cose inimmaginabili.

Monitorerà il progresso degli studenti, preparerà e correggerà verifiche, eviterà la possibilità di imbrogli o copiature. Migliorerà enormemente l’istruzione. Ancora, l’I.A. ridurrà gli abbandoni scolastici, automatizzerà compiti come la stesura dei verbali o la creazione di test, personalizzerà l’apprendimento in base allo stile cognitivo di ogni ragazzo, fungendo da ‘tutor virtuale’, inoltre, supporterà la creatività, la produzione dei contenuti e l’inclusione di alunni ‘fragili’.

Questo e molto altro è stato ‘rivelato’ (con canti di gioia) al Meeting di Rimini di quest’anno durante uno spazio dedicato proprio all’I.A. e alla scuola del domani. Certamente si è stati ben attenti (forse più per rispetto verso gli umani docenti che per convinzione) a  sottolineare il ruolo (ancora) fondamentale e imprescindibile dell’intelligenza umana per la formazione e la crescita degli allievi (l’I.A. solo come uno strumento educativo in più, tra i tanti, per l’insegnante?)

Sarà sicuramente così (me lo auguro) ma tutta questa potenzialità e capacità artificiale genera, nei docenti ‘datati’, un minimo di preoccupazione e pone due domande. Come sarà il docente del futuro o su cosa dovrà puntare per essere ancora necessario e fondamentale nella scuola?

Il rischio (in un domani non troppo lontano) di diventare assistente (in alcuni casi anche supplente) di una macchina, un ‘suggeritore’ per gli studenti o un ‘facilitatore’ dell’apprendimento potrebbe anche esserci. Cerchiamo, comunque, di non essere così pessimisti, anche perché all’insegnante, oggi, viene sempre richiesto qualcosa di specifico e, in parte, nuovo.

Non tanto (come un tempo) di concentrarsi sulle competenze cognitive (acquisire nuove conoscenze, comportamenti, abilità valori, risolvere problemi, prendere decisioni, avere un pensiero critico e creativo), ma su quelle emotive e, soprattutto, relazionali. Da poco, in Italia, è stato depositato un progetto di legge che prevede esplicitamente l’apprendimento (il principale apprendimento) di competenze non cognitive come l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva, l’apertura mentale, l’empatia, la comunicazione efficace, la consapevolezza di sé, la gestione dello stress, le relazioni efficaci. Se l’alunno arriverà a raggiungere questi obiettivi, la competenza cognitiva sarà automatica o quasi (potremmo allora evitare di svolgere un programma ‘cognitivo’?). Sarà allora questo il nostro compito principale: insegnare le competenze emotive e relazionali?

E’ (tristemente) possibile, anche se mi auguro che questo illuminato progetto di legge venga dimenticato al più presto. Per fortuna alcune persone di buon senso continuano a sostenere (la cosa più evidente) che l’insegnante (umano) è fondamentale, la sua influenza incide sull’apprendimento (totale, cognitivo e non) ben più delle tecnologie didattiche e la scuola ha bisogno (un disperato bisogno) di maestri (umani) per stimolare il pensiero critico e l’apertura mentale, altrimenti la società, in un’epoca segnata dal frammentismo e dalla superficialità, sarà minacciata dal pensiero unico e dall’omologazione.

La centralità del docente (umano) quindi deve sempre esserci, anche in futuro.

Una voce del tutto diversa (di un noto e ‘sapiente’ pedagogo) presenta una diversa idea della scuola e del metodo di apprendimento di cui dovrebbe avvalersi. Si chiama ‘imitazione’. Proprio così, secondo questa ‘rivoluzionaria’ tesi, gli alunni non imparano più dalle parole del docente, ma dai compagni.

L’imitazione è il metodo più efficace per acquisire nuove competenze. Inutile la lezione frontale. Il docente può, al massimo ‘favorire’ il mutuo insegnamento tra gli allievi.

L’osservazione è l’imitazione con i pari, soprattutto quelli con competenze superiori, sono fondamentali per attivare i processi di apprendimento. In realtà in questa tesi di rivoluzionario c’è ben poco. Sappiamo tutti che, nelle dinamiche di classe, il confronto, l’emulazione, il dialogo e una sana competizione tra pari aiutano l’apprendimento.

Ma ci vuole sempre una guida, un punto di riferimento, un ispiratore, un docente che, pur all’interno di un vasto perimetro di libertà d’azione, con tatto e discrezione, indichi, in modo generale, i percorsi, le procedure (anche le regole) e i tempi giusti da seguire per raggiungere, pur in un ambiente di apprendimento libero (ma sempre ‘monitorato’), stimolante, creativo e collaborativo determinati obiettivi.

Non continuiamo a ridurre il ruolo del docente!

Il docente del domani? Non saprei tratteggiarne un profilo, forse i colleghi giovani lo saprebbero fare. In me restano solo vaghi e indefiniti presagi di un futuro non esaltante. Ma è solo una mia sensazione, probabilmente l’unica. Quanto mai può valere?

Andrea Ceriani