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Dalle neuroscienze alla neurodidattica

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Da decenni, grazie alle scoperte più avanzate delle neuroscienze, abbiamo la conferma del fatto che il cervello umano è plastico, non è cioè interamente dato alla nascita ma sviluppa le connessioni neuronali nel corso del tempo, grazie all’influenza dell’ambiente relazionale e alle esperienze che una persona vive.

Ora qualcuno, facendo una gran confusione, che cosa dice? Che poiché le connessioni neuronali si creano con l’esperienza, allora nella scuola bisogna sostituire tutte le spiegazioni degli insegnanti e l’insegnamento stesso con delle esperienze pratiche (e sempre più legate al digitale, ça va sans dire) da far vivere agli studenti. 
In questo incredibile salto logico, ci si dimentica del fatto che tra le esperienze più importanti per l’essere umano ci sono la relazione, la parola, il linguaggio, il pensiero, l’astrazione, l’imitazione (la scoperta dei neuroni-specchio – per cui veder fare qualcosa può attivare le stesse connessioni che si attivano facendola – in questo senso è illuminante), gli scambi affettivi e cognitivi… Insomma, una persona che ci aiuti a pensare e ci mostri qualcosa che non conoscevamo sta attivando in noi un’esperienza fondamentale.

Come si crea questo equivoco, per cui uno scambio di parole (anche affettivo) o un lavoro sulle conoscenze durante la lezione e un’esperienza pratica rappresenterebbero un aut-aut (esperienza/non esperienza) e non modalità diverse di esperienza più o meno fruttuose a seconda della situazione, dell’età, degli scopi ecc?
Detto schiettamente, viene da pensare a una micidiale mistura di ignoranza delle reali dinamiche cognitive e relazionali vissute dagli esseri umani e di pubblicità in malafede, funzionale a vendere attraverso una patina di finta scientificità “ricette” didattiche chiavi in mano o paccottiglia digitale .

Gruppo La nostra scuola – Associazione Agorà 33